(MIO PADRE)A volte indossa un vestito di cenere che si dissolve quando cammina. Le poesie del padre. 9° anno.

Da una quarantina d’anni in qua si è detto e scritto moltissimo sul fenomeno della “nuova paternità”, che continua a tenere banco su tutti i media: è il segno di quanto sia effettivo questo cambiamento e di quanto il tema tocchi le corde più sensibili del nostro essere umano. D’altro canto, quale rapporto è così profondo, misterioso, contraddittorio come quello che lega un genitore a un figlio? Più viscerale quello materno, per il vissuto biologico che lega la madre alle sue creature; forse più indotto, più culturale, quello paterno, ma non certo non meno significativo”

Maurizio Quilici, Storia della paternità

POESIE SCELTE (anche tradotte) DEDICATE ALLA FIGURA DEL PADRE. Buona lettura. #andràtuttobene

IL GUARDAROBA DI MIO PADRE

Prima che arrivi la sera comincia la sua toilette.
Ha pigiami di calcare tessuti con i fossili,
una camicia da notte di catacombe dove sgocciolano i suoi sogni.
Ha una vestaglia tessuta con il fumi della benzina,
fra le auto ecologiche e il mormorio dei turisti.
Prova il lungo binario dei completi eleganti.
Si veste dalla cave che hanno costruito Parigi.
Indossa un mantello da cattedrale con gli occhi chimera.
Il suo impermeabile è ricoperto da germogli di gargoiles.
I pantaloni sono vetrate,
proiettano ombre come frutta candita mentre cammina.
La sua cravatta è una metropolitana annodata,
un nodo è una scala mobile, un altro una fontana
con san Michele che combatte Satana.
Una giostrina gira silenziosamente fra le ginocchia
mentre un ragazzino sta cantando su un cavalluccio laccato.
Ha una camicia da facchino d’albergo
e un panciotto di ponti sotto i quali scivolano i “bateaux mouches”.
Viene fuori dalle botole dei locali notturni
con un vestito da sposo di pavimenti che sbuffano vapore nel sole
e su di essi si sposa il mattino.
Ha una giacca di giornali fatti dal soffio del vento
e un spezzato di fumo di sigaretta
con i balconi per tasche. A volte
indossa un vestito di cenere che si dissolve quando cammina.

da Fauverie
di PASCALE PETIT
traduzione di S. Sambiase.

(My Father’s Wardrobe
from Fauverie

In the late afternoon he begins his toilette –
he has limestone pyjamas threaded with fossils,
a nightshirt of catacombs through which his dreams drip.
He has a dressing gown woven with petrol fumes, between
its folds
echo car-horns and the murmur of tourists.
He tries on the long rail of awakening suits.
He dresses from the quarries that built Paris.
He wears a cathedral cloak with chimera eyes.
His raincoat is stuccoed with sprouting gargoyles.
He has trousers that are stained-glass windows,
casting shadows like candied fruit as he walks.
His cravat is a knotted métro train,
one tie is an escalator, another a fountain
with Saint-Michel fighting Satan.
A carousel turns silently between his knees
and in it a boy is singing on a lacquered foal.
He has a shirt of hotel fronts
and a waistcoat of bridges under which bateaux mouches glide.
He emerges from the trapdoors of nightclubs
in a wedding suit of pavements that steam in the sun
and in it he marries the dawn.
He has a jacket made of wind-blown newspapers
and a cocktail suit of cigarette smoke
with balconies for pockets. Sometimes
he wears a suit of ash that scatters when he moves.
(c) Pascal Petit

(c) Nicole Eisenman

***

ANELLI 

(In memoria di mio padre, John Plowright)

Un albero è spesso – o sottile –
spelato, la sua linfa
porta zucchero
alle foglie, nutre
cellule nuove, infonde le radici
di energia

e il cambio –
quasi invisibile –
è come ossigeno per il sangue:
il potere di vita
dell’albero sta in questa
membrana di cellule.

Ricordo
da bambina
mi hai mostrato come leggere
la mente di un albero,
capire i segreti degli anelli –
come increspature

irradianti da pietre di selce
lanciate a pelo d’acqua
che rivelano il dorso di un uomo solo,
l’oscillazione di un braccio –
quiete interna.

Il durame è
centro morto,
lunghezza dell’albero, rigidità;
se l’aria raggiunge
il cuore questo marcisce,
si fa cavo.

Ma nessuno sa
come piega
il suo cuore morto
per arrivare alla luce
o perché trivellare in cerca di versi
è riempire le cavità.

Pubblicata in Making Worlds (Headland, 2003), a cura di Myra Schneider e Dilys Wood; Prefazione di Anne Stevenson.

(Traduzione di Silvia Pio)

LUCY HAMILTON

***

L’ UGUAGLIANZA PADRE !

L’uguaglianza padre ! il tuo sogno s’è avverato
ti intravedo ti vedo ancora camminando
accanto a Roth il possidente che ci negò
un po’ di ricotta per le feste,
Klein il calzolaio che a credito non risuolò
le tue uniche scarpe, Goldberg il macellaio
con la barba da capra tagliata che ti trascinò
in tribunale quando vendevi carne senza licenza,
Stein il maestro che ci diede lezione di ebraicao
in attesa di un compenso divino ci dirigeva
come un direttore d’orchestra indemoniato
rompendo dozzine di bacchette sulle nostre teste
figli tuoi in ebraico analfabeti destinati all’inferno.
Et tu, il più povero, il più riconoscibile
da quelle natiche magre ! Il più agile, più
sfruttabile per lavori forzati.
Avanti padre ! Sei collaudato a ogni evenienza
armato di esperienza
conosci la prima linea, i fucili, le trincee
anche la lotta quotidiana in tempi di abbondanza.
Conosci la prigionia, l’asse dura della cella buia
dove ti spidocchiavi, ti leccavi le ferite,
srotolavi le cicche.
Conosci il sapore del sangue nella bocca
per un dente guasto
per il pugno di un gendarme
par la pallottola
nel difendere la patria, ostinandoti a crederla tua.
Conosci la morte in agguato
la meschinità degli uomini
il gioco dei potenti
lo sfruttamento dei padroni.
Conosci tutta la scala dell’umiliazone
le strade oscure con l’ombre minacciose
con i lupi famelici i cavalli imbizzarriti
in notti insonni nei tuoi viaggi solitari
nell’illusione di affari
fallimentari,
le promesse non mantenute
eccetto l’ira di Jehova !
Avanti padre conosci le marce
il gelo la fame ! Su la testa !
non devi più nasconderti dai creditori
sono lì tutti nudi !
Ah, ti volti ? Non mi riconosci,
sono cresciuta ho i seni duri
una peluria tenera pura
come aveva la mamma quando te la portarono
in sposa. Prendimi padre !
Ti darò piacere non figli,
amore non doveri,
amore non rimproveri,
amore da te sconosciuto
da me immaginato, corri
è tempo d’Apocalisse !
Commettiamo un peccato mortale
per meritare la morte.

 

EDITH BRUCK

(c) Nicole Eisenman

***

BAMBINA E PADRE

Mi sforzavo a più mani

nel compimento di azioni spiacevoli

da assumere in assonanza

con ordine controllato eloquio

manifestazioni di appartenenza

al suo ceppo

Capii di essere un’attrice

altri giorni mi inceppavo

urlavo in spigoli disseminati

mi scorticavo le articolazioni

Non mi rammentavo i comandi

finii col pisciarmi addosso

per il terrore di un tempo illimitato

in quel pomeriggio.

FRANCESCA ELEONORA CAPIZZI

***

L’ORA DEL LUPO 

Non so perché i treni che vanno
mi trattengono come la vita senza di te,
convinto che faranno marcia indietro,
che sull’altro binario fischieranno
da una piccola sommità
e a filo d’occhio freneranno
per i passeggeri, sagome sguscianti
scese dal predellino
facendo luce opalescente sulla pensilina.
Papà tenderà la mano
nel passo calmo, un po’ infreddolito
e sbracciando dirà che c’è, che è tornato.
Sono pensieri taciuti, assurdi,
che fanno compagnia nell’ora del lupo

ALESSANDRO MOSCE’

(c) Nicole Eisenman

LE POESIE DEDICATE AL PADRE NEL BLOG :

https://golemfemmina.wordpress.com/2019/03/18/poesie-del-padre-padre-alza-la-testa-e-guarda-i-cipressi/
https://golemfemmina.wordpress.com/2017/03/16/padre-albero-e-radice-cinque-poesia-di-elina-miticocchio-dedicate-alla-figura-paterna/
https://golemfemmina.wordpress.com/2016/01/03/i/
https://golemfemmina.wordpress.com/2015/06/18/poesie-del-padre-lunico-uomo-che-mi-ha-amato-dal-primo-respiro-di-placenta/
https://golemfemmina.wordpress.com/2015/03/18/poesie-del-padre-di-padre-sattende-lattesa/
https://golemfemmina.wordpress.com/2013/02/02/mio-padre-si-e-mosso-attraverso-destini-damore-da-wsf-2/
https://golemfemmina.wordpress.com/2014/02/06/poesie-per-un-padre-ne-muta-ne-si-allontana/
https://golemfemmina.wordpress.com/2014/03/19/poesie-per-un-padre-e-solo-dopo-che-ho-fatto-pace/
https://golemfemmina.wordpress.com/2014/11/08/poesie-del-padre-e-con-saggezza-mi-ha-allevato/
https://golemfemmina.wordpress.com/2012/11/01/poesie-del-padre-da-wsf/

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Natale. Cosa ti serve per restare al caldo. La traduzione della poesia di Neil Gaiman per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati

Nel mese di novembre, Neil Gaiman, autore di successi letterari quali Cose fragiliGood Omen , American Gods e il fortunato ciclo di fumetti Sandmam, chiese ai suoi followers di Twitter di lasciargli dei messaggi su cosa ricordasse loro la parola “calore”.
L’autore si aspettava di ricevere un centinaio di messaggi, per lo più corte descrizioni o singoli aggettivi. Invece, quasi immediatamente, ricevette migliaia di risposte, fino a raggiungere circa 25.000 parole. Il lavoro su questo abbondante materiale è diventato, nei giorni scorsi,  la poesia, “What you Need to Be Worm”, che  ha segnato l’inizio della raccolta fondi dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per l’assistenza invernale di emergenza.

COSA TI SERVE PER RESTARE AL CALDO.

di  (c) Neil Gaiman

Una calda patata farcita in una notte d’inverno che avvolga le tue mani o che bruci la tua bocca.

Una coperta fatta a mano dalle abili dita di tua madre. O di tua nonna.

Un sorriso, un tocco, un incoraggiamento, mentre cammini nella neve 

o vi ritorni, la punta delle tue orecchie ti punge, rosa e gelata. 

Il tic toc tic del fruscio del termosifone di una vecchia casa.

In un letto,  rintanato sotto coperte e  piumone, l’arrivo dei sogni

e il tuo stato cambia così, dal freddo al caldo,

ed è tutto quello che importa, e tu pensi:

Ancora solo un minuto di questa beatitudine prima che il freddo mi ricada sulla faccia.  Ancora solo uno.

Dove dormivamo da bambini, quei luoghi, nella nostra memoria danno ancora calore.

Ci viaggiamo da dentro a fuori.  Nelle fiamme arancioni del camino

o  nel legno che brucia nella stufa. Il fiato sulla finestra appannata di ghiaccio

si raschia con un dito, si scioglie con la mano.

La terra ghiacciata dalle ombre,  ci attende. 

Mettersi una sciarpa. Indossare un cappotto. Indossare un maglione. Indossare calzini. Indossare guanti pesanti. 

Una bambina che dorme. Le capriole dei cani, una cucciolata di gatti e gattini. Vieni, accomodati dentro. Sei al sicuro.

La teiera bolle sui fornelli. La tua famiglia, i tuoi amici sono qui. E sorridono.

Cioccolato bollente o cioccolatini, te o caffé, zuppa o liquore speziato, quello che più vuoi.

Il caldo è uno scambio, te lo porgono, tu prendi la tazza

e il gelo comincia a sciogliersi. Mentre fuori, per qualcun altro di noi, il viaggio sta iniziando

come cominciò il nostro; andar via, dalla casa paterna, 

dai luoghi che ci videro bambini:  e cambiare il nostro stato, cambiare e cambiare, 

inciampando in un deserto pietroso o sfidando acque profonde,

mentre il cibo e gli amici, la casa, il letto, perfino una coperta diviene memoria lontana. 

Ma a volte, basta solo uno sconosciuto in un luogo al buio,

che stenda una sciarpa su di noi, che offra una parola gentile, che dica 

che abbiamo il diritto di essere qui, di restare al caldo nella più fredda delle stagioni. 

Tu hai il diritto di stare qui. 

traduzione di S. Sambiase

https://www.thefussylibrarian.com/newswire/for-readers/2019/12/11/read-neil-gaimans-latest-poem-what-you-need-to-be-warm;

What You Need to be Warm

by Neil Gaiman
A baked potato of a winter’s night to wrap your hands around or burn your mouth.
A blanket knitted by your mother’s cunning fingers. Or your grandmother’s.
A smile, a touch, trust, as you walk in from the snow
or return to it, the tips of your ears pricked pink and frozen.
The tink tink tink of iron radiators waking in an old house.
To surface from dreams in a bed, burrowed beneath blankets and comforters,
the change of state from cold to warm is all that matters, and you think
just one more minute snuggled here before you face the chill. Just one.
Places we slept as children: they warm us in the memory.
We travel to an inside from the outside. To the orange flames of the fireplace
or the wood burning in the stove. Breath-ice on the inside of windows,
to be scratched off with a fingernail, melted with a whole hand.
Frost on the ground that stays in the shadows, waiting for us.
Wear a scarf. Wear a coat. Wear a sweater. Wear socks. Wear thick gloves.
An infant as she sleeps between us. A tumble of dogs,
a kindle of cats and kittens. Come inside. You’re safe now.
A kettle boiling at the stove. Your family or friends are there. They smile.
Cocoa or chocolate, tea or coffee, soup or toddy, what you know you need.
A heat exchange, they give it to you, you take the mug
and start to thaw. While outside, for some of us, the journey began
as we walked away from our grandparents’ houses
away from the places we knew as children: changes of state and state and state,
to stumble across a stony desert, or to brave the deep waters,
while food and friends, home, a bed, even a blanket become just memories.
Sometimes it only takes a stranger, in a dark place,
to hold out a badly knitted scarf, to offer a kind word, to say
we have the right to be here, to make us warm in the coldest season.
You have the right to be here.