(MIO PADRE)A volte indossa un vestito di cenere che si dissolve quando cammina. Le poesie del padre. 9° anno.

Da una quarantina d’anni in qua si è detto e scritto moltissimo sul fenomeno della “nuova paternità”, che continua a tenere banco su tutti i media: è il segno di quanto sia effettivo questo cambiamento e di quanto il tema tocchi le corde più sensibili del nostro essere umano. D’altro canto, quale rapporto è così profondo, misterioso, contraddittorio come quello che lega un genitore a un figlio? Più viscerale quello materno, per il vissuto biologico che lega la madre alle sue creature; forse più indotto, più culturale, quello paterno, ma non certo non meno significativo”

Maurizio Quilici, Storia della paternità

POESIE SCELTE (anche tradotte) DEDICATE ALLA FIGURA DEL PADRE. Buona lettura. #andràtuttobene

IL GUARDAROBA DI MIO PADRE

Prima che arrivi la sera comincia la sua toilette.
Ha pigiami di calcare tessuti con i fossili,
una camicia da notte di catacombe dove sgocciolano i suoi sogni.
Ha una vestaglia tessuta con il fumi della benzina,
fra le auto ecologiche e il mormorio dei turisti.
Prova il lungo binario dei completi eleganti.
Si veste dalla cave che hanno costruito Parigi.
Indossa un mantello da cattedrale con gli occhi chimera.
Il suo impermeabile è ricoperto da germogli di gargoiles.
I pantaloni sono vetrate,
proiettano ombre come frutta candita mentre cammina.
La sua cravatta è una metropolitana annodata,
un nodo è una scala mobile, un altro una fontana
con san Michele che combatte Satana.
Una giostrina gira silenziosamente fra le ginocchia
mentre un ragazzino sta cantando su un cavalluccio laccato.
Ha una camicia da facchino d’albergo
e un panciotto di ponti sotto i quali scivolano i “bateaux mouches”.
Viene fuori dalle botole dei locali notturni
con un vestito da sposo di pavimenti che sbuffano vapore nel sole
e su di essi si sposa il mattino.
Ha una giacca di giornali fatti dal soffio del vento
e un spezzato di fumo di sigaretta
con i balconi per tasche. A volte
indossa un vestito di cenere che si dissolve quando cammina.

da Fauverie
di PASCALE PETIT
traduzione di S. Sambiase.

(My Father’s Wardrobe
from Fauverie

In the late afternoon he begins his toilette –
he has limestone pyjamas threaded with fossils,
a nightshirt of catacombs through which his dreams drip.
He has a dressing gown woven with petrol fumes, between
its folds
echo car-horns and the murmur of tourists.
He tries on the long rail of awakening suits.
He dresses from the quarries that built Paris.
He wears a cathedral cloak with chimera eyes.
His raincoat is stuccoed with sprouting gargoyles.
He has trousers that are stained-glass windows,
casting shadows like candied fruit as he walks.
His cravat is a knotted métro train,
one tie is an escalator, another a fountain
with Saint-Michel fighting Satan.
A carousel turns silently between his knees
and in it a boy is singing on a lacquered foal.
He has a shirt of hotel fronts
and a waistcoat of bridges under which bateaux mouches glide.
He emerges from the trapdoors of nightclubs
in a wedding suit of pavements that steam in the sun
and in it he marries the dawn.
He has a jacket made of wind-blown newspapers
and a cocktail suit of cigarette smoke
with balconies for pockets. Sometimes
he wears a suit of ash that scatters when he moves.
(c) Pascal Petit

(c) Nicole Eisenman

***

ANELLI 

(In memoria di mio padre, John Plowright)

Un albero è spesso – o sottile –
spelato, la sua linfa
porta zucchero
alle foglie, nutre
cellule nuove, infonde le radici
di energia

e il cambio –
quasi invisibile –
è come ossigeno per il sangue:
il potere di vita
dell’albero sta in questa
membrana di cellule.

Ricordo
da bambina
mi hai mostrato come leggere
la mente di un albero,
capire i segreti degli anelli –
come increspature

irradianti da pietre di selce
lanciate a pelo d’acqua
che rivelano il dorso di un uomo solo,
l’oscillazione di un braccio –
quiete interna.

Il durame è
centro morto,
lunghezza dell’albero, rigidità;
se l’aria raggiunge
il cuore questo marcisce,
si fa cavo.

Ma nessuno sa
come piega
il suo cuore morto
per arrivare alla luce
o perché trivellare in cerca di versi
è riempire le cavità.

Pubblicata in Making Worlds (Headland, 2003), a cura di Myra Schneider e Dilys Wood; Prefazione di Anne Stevenson.

(Traduzione di Silvia Pio)

LUCY HAMILTON

***

L’ UGUAGLIANZA PADRE !

L’uguaglianza padre ! il tuo sogno s’è avverato
ti intravedo ti vedo ancora camminando
accanto a Roth il possidente che ci negò
un po’ di ricotta per le feste,
Klein il calzolaio che a credito non risuolò
le tue uniche scarpe, Goldberg il macellaio
con la barba da capra tagliata che ti trascinò
in tribunale quando vendevi carne senza licenza,
Stein il maestro che ci diede lezione di ebraicao
in attesa di un compenso divino ci dirigeva
come un direttore d’orchestra indemoniato
rompendo dozzine di bacchette sulle nostre teste
figli tuoi in ebraico analfabeti destinati all’inferno.
Et tu, il più povero, il più riconoscibile
da quelle natiche magre ! Il più agile, più
sfruttabile per lavori forzati.
Avanti padre ! Sei collaudato a ogni evenienza
armato di esperienza
conosci la prima linea, i fucili, le trincee
anche la lotta quotidiana in tempi di abbondanza.
Conosci la prigionia, l’asse dura della cella buia
dove ti spidocchiavi, ti leccavi le ferite,
srotolavi le cicche.
Conosci il sapore del sangue nella bocca
per un dente guasto
per il pugno di un gendarme
par la pallottola
nel difendere la patria, ostinandoti a crederla tua.
Conosci la morte in agguato
la meschinità degli uomini
il gioco dei potenti
lo sfruttamento dei padroni.
Conosci tutta la scala dell’umiliazone
le strade oscure con l’ombre minacciose
con i lupi famelici i cavalli imbizzarriti
in notti insonni nei tuoi viaggi solitari
nell’illusione di affari
fallimentari,
le promesse non mantenute
eccetto l’ira di Jehova !
Avanti padre conosci le marce
il gelo la fame ! Su la testa !
non devi più nasconderti dai creditori
sono lì tutti nudi !
Ah, ti volti ? Non mi riconosci,
sono cresciuta ho i seni duri
una peluria tenera pura
come aveva la mamma quando te la portarono
in sposa. Prendimi padre !
Ti darò piacere non figli,
amore non doveri,
amore non rimproveri,
amore da te sconosciuto
da me immaginato, corri
è tempo d’Apocalisse !
Commettiamo un peccato mortale
per meritare la morte.

 

EDITH BRUCK

(c) Nicole Eisenman

***

BAMBINA E PADRE

Mi sforzavo a più mani

nel compimento di azioni spiacevoli

da assumere in assonanza

con ordine controllato eloquio

manifestazioni di appartenenza

al suo ceppo

Capii di essere un’attrice

altri giorni mi inceppavo

urlavo in spigoli disseminati

mi scorticavo le articolazioni

Non mi rammentavo i comandi

finii col pisciarmi addosso

per il terrore di un tempo illimitato

in quel pomeriggio.

FRANCESCA ELEONORA CAPIZZI

***

L’ORA DEL LUPO 

Non so perché i treni che vanno
mi trattengono come la vita senza di te,
convinto che faranno marcia indietro,
che sull’altro binario fischieranno
da una piccola sommità
e a filo d’occhio freneranno
per i passeggeri, sagome sguscianti
scese dal predellino
facendo luce opalescente sulla pensilina.
Papà tenderà la mano
nel passo calmo, un po’ infreddolito
e sbracciando dirà che c’è, che è tornato.
Sono pensieri taciuti, assurdi,
che fanno compagnia nell’ora del lupo

ALESSANDRO MOSCE’

(c) Nicole Eisenman

LE POESIE DEDICATE AL PADRE NEL BLOG :

https://golemfemmina.wordpress.com/2019/03/18/poesie-del-padre-padre-alza-la-testa-e-guarda-i-cipressi/
https://golemfemmina.wordpress.com/2017/03/16/padre-albero-e-radice-cinque-poesia-di-elina-miticocchio-dedicate-alla-figura-paterna/
https://golemfemmina.wordpress.com/2016/01/03/i/
https://golemfemmina.wordpress.com/2015/06/18/poesie-del-padre-lunico-uomo-che-mi-ha-amato-dal-primo-respiro-di-placenta/
https://golemfemmina.wordpress.com/2015/03/18/poesie-del-padre-di-padre-sattende-lattesa/
https://golemfemmina.wordpress.com/2013/02/02/mio-padre-si-e-mosso-attraverso-destini-damore-da-wsf-2/
https://golemfemmina.wordpress.com/2014/02/06/poesie-per-un-padre-ne-muta-ne-si-allontana/
https://golemfemmina.wordpress.com/2014/03/19/poesie-per-un-padre-e-solo-dopo-che-ho-fatto-pace/
https://golemfemmina.wordpress.com/2014/11/08/poesie-del-padre-e-con-saggezza-mi-ha-allevato/
https://golemfemmina.wordpress.com/2012/11/01/poesie-del-padre-da-wsf/

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Padre albero e radice. Cinque poesia di Elina Miticocchio dedicate alla figura paterna.

Nella letteratura poetica, le dediche al padre occupano forse spazio minore di quelle della madre, legate spesso più alla sua assenza e alla sua memoria che alla sua presenza. Anche le cinque poesie che ci regala Elina Miticocchio ricostruiscono una biografia dell’assenza paterna, con una grazia malinconica che è tratto fondativo della bellezza della sua scrittura in versi. Il padre amato così tanto fino al giorno della  sua scomparsa non è solo un’ombra nei ricordi, ma un portato infinito nei verbi dell’attesa e dell’affetto. E’ una presenza. E’ il presente che si trasfigura in vento e cielo, perché la memoria e l’amore non possono che essere pesati che con misure naturali ed infinite. I versi sono carezze, brevi come segni o lunghi come riflessi. La nostalgia non sconfigge il cuore. E tutta la scrittura, la sua forma estetica formale e stilistica ha la dolcezza dell’evocazione, che accompagna la “parola figlia” immergendola in stagioni e “fantasia di carta” dove solide sono state e saranno per sempre le radici dell’albero padre.

per gentile regalo di
Elina Miticocchio

Grigio napoletano

ti aspetto
in questo novembre d’alberi
e di fantasie di carta
sei il mio alberopadre
con l’anima imbrigliata
nel filo spinato
ti aspetto
e avrai il tuo tronco aperto
ad accogliermi
a farmi da tana
poiché sono una foglia staccata

Dedicata

Tra il giallo e il rosso io voglio restare
mai perdere lo specchio che il tempo regala
ai brevi istanti quali noi siamo
intanto mi chiedo e quasi sorrido
saranno mai le nostre dita bianche nuvole?

Breve
da La parola scrive

Questa notte mi metto in cammino.
Esco di casa diretta verso la casa di mio padre e mia madre.
Un vento fortissimo disarma il mio passo perdo peso e vago.
Perdo gomitoli e lettere le immagini bambine ora scappano dalle mani
Ci saranno altre strade per continuare a scrivere
in quaderni di parole
cuciti i respiri
un ramo una mano
il nido della voce
soffiati

Oggi le nuvole

Ti guardo
hai gli occhi chiusi
mi chiedo se esistono oggi le nuvole
se mai io possa accoglierne una sola
nel palmo della mia mano
per porgerla al tuo silenzio di ombre
per ritrovarti padreradice
del mio piccolo cielo

Violetta

Si chiamava violetta la stanza di mio padre
Dalla finestra guardavo tra il folto delle foglie
una piccola gazza ladra
e spesso le lanciavo briciole
unite ai miei pensieri e al vento
C’era poco vento quel giorno
in cui lo vidi allontanarsi
sotto un ampio mantello di neve

 

(c) Elina Miticocchio

Poesie del padre – Io, diventato padre di mio padre. Tu, diventato figlio di tuo figlio.

(c) Dinah Maxwell Smith
(c) Dinah Maxwell Smith

L’AZZURRO 
di Simonetta Filippi

– Signora, mi scusi, ma da mio padre si è accesa una luce intermittente arancione…
– Non è niente, ora vengo
… … …
– Signora sono ancora io, la figlia del 25… ora si è accesa una luce intermittente rossa sempre più veloce…
– Arrivo, arrivo… non si preoccupi!

Sì, però al mio babbo piace il celeste ha capito? Il celeste. Da sempre. Tutto era celeste nella nostra casa, lui dipingeva tutto di celeste anche il bordo delle sedie in formica lo dipingeva di celeste, e anche le sedie erano già celesti, non azzurro, proprio CELESTE, come le sue camicie e il gilè di lana

– Mamma, allora, di che colore si prende il pigiama a babbo?
– Quello lì, celestino, a lui gli piace, è sempre stato fissato col celestino
– È vero, non celeste, ma CELESTINO.

(al quinto, terzo piano, ore 11 del 31 marzo 2016)
Domani mattina io e mia sorella lo vestiremo così: abito blu, camicia azzurra e gilè, quello di lana, celestino.

 

(c) Jules de Balincourt
(c) Jules de Balincourt

QUANDO PARTIVI PADRE
di Grazia Fresu
Quando partivi, padre,
si faceva silenzio sulla soglia
ci lasciavi
l’immagine della tua nave
il tuo abbraccio
che già tesseva la lontananza,
sulle punte dei piedi
cercavo il tuo sguardo
irriducibile promessa del ritorno,
vivere in un’isola
ci avrebbe cantato
le tue traversate
per mari sconosciuti
le tue veglie accorate
il nostro sonno
di agitati fantasmi
e intermittente presenza,
quando partivi, padre,
l’infanzia si slabbrava
in un’eco di domande accorate
nel disegno delle tue abili mani
nel sorriso di irriducibile attesa
che nostra madre ci cuciva addosso
come un vestito da festa,
forse lì per la prima volta
ho misurato il distacco
la ferita di un voluto abbandono
le sere dove un uomo manca
nella casa nella memoria nel cuore
e le donne sedute intorno al camino
lo disegnano con le lingue
della fiamma che sale,
forse lì per la prima volta
una scheggia di poesia mi ha trafitto
insegnandomi le inesorabili leggi
del destino e lì, padre,
sei stato quello
che non avrei più avuto…
un marinaio che ritorna
riportando l’amore
dai viaggi e dalla pena.

DA QUESTA PARTE DEL MONDO
di Ferdinando Battaglia

Da questa parte del mondo
Il vivo è vivo,
Il morto è morto
E non ha più respiro;
Da questa parte del mondo.

Da questa parte del mondo
Si chiama padre un padre
E figlio un figlio,
Ma non è solo così,

Ché da questa parte del mondo
Ci siamo incontrati
In un legame che è altro
Da ciò che sei stato
E da ciò che ancora io sono
Da questa parte del mondo;

Pur senza memoria
Noi abbiamo il ricordo
Di una carne comune:

Non solo tu padre
E non solo io figlio,

Anche senza sapere
Chi saremo – per davvero – stati.

(c) James Roper

da TRITTICO DEL DISTACCO

di Pasquale Di Palmo

Papà, il nostro dialogo
è fatto di silenzi
e ammiccamenti
di accenni e vuoti assensi

mentre a un tavolino di caffè
in una fredda giornata di aprile
ti imbocco come un bimbo
sotto un cielo che ha tinte di gheriglio.

Tu, nel baccello della carrozzina,
diventatomi qui,
appena nato,
parvenza di figlio.

X

Io, diventato padre di mio padre.
Tu, diventato figlio di tuo figlio.
Ti lavo ti sfamo
ti accudisco.
Mangi, come un cane,
dalla mia mano.
Non articoli che poche
parole intelligibili
scandite in corone
di frasi senza senso.
Parole che somigliano al silenzio.
Mi guardi e ti guardi.
Con quegli occhi
sempre più piccoli e smarriti
mentre la tua voce di nebbia
mi esorta febbricitante a portarti
– «andemo dài andemo» –
laddove non esistono che nuvole
ignare di ogni nostra parentela.

 

POESIE DEL PADRE – Vorrei guardare ancora le stelle in piedi con te sulla porta del bivacco

(c) Dan Hillier

Il nemico
di Nerina Ardizzoni

Rotola in terra il cuore,
fra segmenti di foglie e rami secchi;
i fragili occhi,
che ogni giorno han fatto fronte alla vita,
che ogni giorno han cercato il pane,
sono spenti.
Non eri tu il nemico,
non ero io la cattiva sorte.
Troppo breve la vita,
antichi rancori a dividerci,
come scudi fra di noi.
Ora, domande senza risposta
e il rimpianto
di non aver fatto il primo passo.

(Nerina Ardizzoni)

(c) Elbow Toe

Padre

di Patrizia Mortati
Si è ibernato il tempo
nell’istante prima
in cui il respiro ti abbandonasse,
gli occhiali poggiati distrattamente
su una rivista aperta a pagina 56
che non avresti mai finito,
ma tu non lo sapevi,
la spazzola coi tuoi capelli
rimasti ancorati alle setole,
brillanti e candidi,
improvvisa ti ha sorpreso
la morte. A lei non importava
delle cose che ancora avevi diritto di vivere,
di quello che volevi vedere
dire, aggiustare, bere, assaporare,
dell’aria che volevi respirare…
Il tuo ricordo inizia a sbiadire,
come la foto al cimitero,
ha i contorni sfumati
ma i segni del tuo passaggio nel mondo
sono ancora qui, camminano
e ti cercano nei sogni…

(c) Patrizia Mortari
(da” Un cielo di poesia” 2014)

 

A mio padre

di Paola Surano

Oh vorrei che mi prendessi per mano
– vorrei ce mi prendessi ancora per mano –
come quando bambina, mi portavi sui sentieri
di montagna, con il tuo passo cadenzato
di montanaro che lento scandiva il tempo
del nostro andare.
Oh vorrei ascoltare il silenzio
– vorrei ancora ascoltare il silenzio –
che ci avvolgeva compatto, assoluto
eppur così fitto di suoni, parole e pensieri:
per dire guarda, la luce del sole fra i rami
senti il profumo del vento
ascolta: il fischio lontano della marmotta
attenta! Un sasso, un buco un ruscello da
guardare
ma tranquilla, non tempere ci sono io, qui, ad
aiutare.
Oh vorrei guardare le stelle
– vorrei guardare ancora le stelle –
in piedi con te sulla porta del bivacco
raggiunto come premio alla fatica
e ascoltare alla fine la tua voce
che mormorava, mentre stringeva la mia mano,
“Sia lodato il creato
e lodato il suo Creatore”

(di Paola Surano)

(c) Richard Aldrich

A mio padre

di Maria Grazia Dall’Aglio

Dall’ombra dei ricordi,
affiorano reminiscenze del passato
e il volto amato di mio padre
e il caldo sentimento che ci univa,
quando bambina
attingevo al suo sapere,
e scrivevo le prime note
sul pentagramma della vita.
Le sue scelte erano anche le mie,
facevo miei i valori in cui credeva,
perché tanta era la stima
per una persona buona,
che, dotata di tanto ingegno,
sapeva fare della semplicità virtù.
Tanto tempo è passato
da quando te ne sei andato,
in quei caldi giorni di luglio,
che, inconsapevoli, sottolineavano
il periodo più grigio della mia
allora giovane vita.
Tanto tempo è passato
da quando eri con me,
ma ciò che tu mi hai donato
con presenza costante,
sollecite attenzioni
ed affetto profondo
è ancora ed ancora con me
5 gennaio 1995

(di Maria Grazia Dall’Aglio)

Poesie del padre – L’unico uomo che mi ha amato dal primo respiro di placenta.

(c) Silvano Campeggi
(c) Silvano Campeggi

C’E’ UNA SEPOLTURA

di Sabrina Spinella

C’è una sepoltura

che non mi dà pace

nemmeno se non spreco

più lacrime

da anni

quelle ossa ripulite

formavano l’unico uomo

che mi ha amato

dal primo respiro di placenta.

Perdere il padre autorizza

la mia mancanza per sempre.

 

dal libro  Via del ponte perso (c) Guido Vicari Editore

(c) Howard Schatz
(c) Howard Schatz

L’OMBRA

di Giorgina Busca Gernetti
Nei pressi della Soglia imperscrutabile
un’Ombra vana appare
e s’accosta ondeggiante nell’oscura
acqua fonda del lago, s’allontana
quasi il timore la spingesse lungi
dallo spirito livido nel lago.
Ma si volge dubbiosa tra le alghe
tornando accanto allo spirito triste.

«Padre, sei tu?» pare esclamare fioca
l’anima-spirito del lago grigio.
«Sei tu, padre, che infine mi compari
sì ch’io ti veda almeno oltre la morte?»
«Figlia mia, son tuo padre, riaffiorato
dal buio della guerra che mi spense
prima che tu nascessi. Ora gli abbracci
solo tra fredde ombre.»

«Padre, soltanto questo mi è concesso?
Le carezze paterne non conosco.»
«Sorte amara per te, piccola mia,
e per me, che mi spensi nella morte
piangendo le mie bimbe abbandonate
senza poter vedere
te, che crescevi ancora dentro il grembo
della madre piangente.»

E svanisce tra l’alghe l’Ombra amata.

*

Dal poemetto L’anima e il lago, Pomezia 2010, Tricase-Le 2012²

 

EPICEDIO PER MIO PADRE

di Giorgina Busca Gernetti

 

Ho deposto un cuscinetto di terra

italiana

davanti alla tua lapide,

amato Padre mio,

nel Sacrario in terra straniera:

la stoffa è rossa, bianca, verde.

 

La guerra è sempre atroce,

anche se s’abbellisce

di nobili ideali

e s’ammanta di gloria.

 

Atroce per chi muore

e per chi vive.

 

*

 

 

Dal libro Ombra della sera, Genesi Editrice, Torino 2002

 

(c) John Singer Sargent
(c) John Singer Sargent

A MIO PADRE

di Walter Valeri

Oh padre come sei pula che il vento seleziona

sei stato pane crusca e cibo oltre la fame
qui dentro casa dove hai gridato
dentro la notte oltre la notte

rotto di rabbia e ossesso di farina. Sei stato
servo mai arreso e hai detto al figlio
di un corpo che dimagra col crescere dell’anima

e con pietà d’ogni tua colpa vergognosa.
Che dura verità la tua sapienza
figlio di un servo e della Rosa

se mi hai insegnato di non sputare a tavola
e di guardare franco negli occhi dell’amico
poi con dolcezza i seni della sposa

che fiore aspro vivo senza scampo
sei venuto qui gridando
nel segno di tuo padre ed egli di suo padre in te

perché prendesse voce in chi seduto scrive
mite e feroce la nostra nuova storia. Oh padre
come sei pula che il vento seleziona

e come ti somiglio
mentre a fatica la morte ci allontana.

Poesia tratta dalla raccolta Another Ocean, Sparrow Press, Mass., USA, 2012.

 

 

UN SOLO FIUME

di Roger Waters

Quando il vento falcia le messi/
E gli uomini validi cadono/
E i bimbi impauriti e increduli si rannicchiano nelle braccia tenere delle madri/
A proteggersi dalla lama incurante dei banditi/
Mio padre, ora distante/
Ma vivo, e caldo e forte/
In una bruma uniforme tabacco/
Parla./
Figlio mio, dice./
Non opporti al dolore del tuo lutto/
Ma affilane e appuntane la lama./
Che /
Tu non sfugga mai/
Obnubilato, crudele,/
A sfide ardue da sostenere./
Che prezzo ha un figlio?/
Quale?/
Il tuo o il mio?/
Questo a casa?/
L’uccellino implume che ingolla scodelle di vermi di pasta/
Oppure/
Quello in tv, morto e sgranato in qualche fosso dei Balcani/
Non riuscire a capire che il lutto di altri padri/
Nega i legami forgiati in sangue filiale/
E il vessillo lucente passato da uomo a bambino/
Al posto d’onore, forte, privo di meschinità e rancore./
Quindi/
Raccogli le tue lacrime, dice mio padre/
Raccogli in una coppa quella medaglia di sale/
Sgorga da un unico fiume/
Su quel fiume figlio mio/
Mi sono giocato la vita.

(Traduzione di Emilia Benghi)

riferimento in rete :

http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2013/11/11/news/un_solo_fiume_la_poesia_di_roger_waters_dedicata_al_padre-70738504/

 

Poesie del Padre – Di padre, s’attende l’attesa

(c) Maurizio Galimberti
(c) Maurizio Galimberti

La tenerezza di Joe infatti, era così straordinariamente proporzionata ai miei bisogni, da rendermi un bambino nelle sue mani. Sedeva e parlava con me con l’antica confidenza, l’antica semplicità, ‘antico modo conciliante e protettivo, così da farmi quasi credere che tutta la mia vita sucessiva ai giorni della vecchia cucina, fosse una delle sofferenze causatemi dalla febbre, che ora era passata. Faceva per me ogni cosa….

(da Grandi Speranze, di Charles Dickens)

Di padre

Di padre s’apprende il nome.
La mano muta nell’abbandono
Fra cancelli ancora suggellati
Su svelte scarpinate in vie di fuga.
Coraggi assediati sul costato
Fra attimi sbiaditi in pause
Al poi trarne avviso nei domani.

Di padre s’apprende il credo
La lotta avviata su strade inesplorate
Sterminate da bandiere disuguali
Ai venti primi in fila
Proni agli estuari.

S’apprende il taglio di mete andate a colpa
La piena degli imbrogli necessari
Sopra opzioni naufragate in salde sere.

Di padre s’apprende scavo.
Grinze ammansite nelle vene
Al riverbero fra occhi temperati
Su rimbombi di ricordi
Idolatrati.

S’apprende l’urlo spietato
Decantato a fierezza sopra scudi
Al tono di spettare
annuvolato
Reciso a sfascio in ghiaia.

L’aroma del tabacco
Disperso fra castagni
Come oro radiato
A crearne eclisse e svago.
Il fiato silenzioso
Usurato dentro ansie imbavagliate.
L’occhiata scalza
Sopra messe stanate da cuscini
Al gergo della fitta
Mascherata d’ornamenti.

Di padre s’apprende l’attesa.
Il polso al bordo letto
Cullante sul sarà
Come pendolo scordato.
Occhi dissolti
In calo a pelle ossuta.
Germi di gerani rispediti
Su sfide sorte a capo
Celebrate da ire in grugno a Dio
A formarne clessidre senza sabbia.

MARINA MINET  (da “Le Frontiere dell’anima, Ed. Liberodiscrivere 2006)

(c) Thomas Hart Benton
(c) Thomas Hart Benton

Quando trovai mio padre a bocca spalancata che,

di sbiego sulla seggiola, fissava morto la televisione accesa,

e quando lo riponemmo vestito a festa,

proprio allora, già composto, infilai nel suo taschino

una fotografia di mia madre,

che già da molto sorbiva la luce tetra o

tenerella delle stelle.

Pensai: unitevi ora, che in vita

vita vi ha dispersi.

E la colazione a volere unire\riunire,

mi è rimasta come piega

o dovere o lama. O presunzione.

Quella che non vedesti, e ti apparve incompresa,

fu comprensione.

In realtà, era costernata afflizione.

GABRIELLA MALETI

Dialoghi interrotti 

L’alloro staglia fronde

contro l’azzurro terso,

il vecchio pota l’olivo

come ieri.

Massiccia fissità

della montagna: qui il tempo

è infinito presente.

In questo attimo chiaro ti rivedo

piegato sulla terra

dura da dissodare, arida

da concimare, solcare, sarchiare

bassa da coltivare.

Ma il sole dorava spighe

tremava la rugiada

su teneri germogli di smeraldo

andavi in prima linea avanti l’alba

mescolando il tuo fiato con quello delle brume.

Ora che non combatti più con i rovi

nidifica la serpe tra le zolle

e non conosce ostacoli l’ortica.

Fra terra e cielo dialoghi interrotti

in una primavera sbalordita

cui soffocano palpiti gli spini.

(c)  John Hedgecoe
(c) John Hedgecoe

GIOVANNA BONO MARCHETTI 

Nelle mie smarrite sere

Raccontami, pà,

delle domeniche mattina,

quando per mano

mi conducevi in piazza fra giganti:

ero un pulcino senza paura

dentro i miei primi  pantaloni lunghi

tenuti su con le bretelle.

Raccontami di te,

dei nonni,

del tuo paese natio…

perché non mi senta

buttato qui in mezzo senza radici.

Lasciami guardare

nei tuoi occhi stanchi

le mattine gelide

a raccogliere arance

fra le foglie inzuppate di rugiada

o i meriggi

di canicola

a mietere frumento

con la gola arsa di polvere

e il sordo grattare di cicale nella testa….

e i tuoi ritorni a casa, sempre più lenti,

per i chilometri a piedi,

dopo la fatica

eroe senza gloria e senza pretese.

Lasciami scovare

tra le pieghe della tua fronte

i pensieri amari, le preghiere mute

dei giorni con le mani in mano

a spiare il cielo

sulla soglia di casa o all’osteria,

per la pioggia di settimane,

che ti rubava il pane.

Vecchio olivo ricurvo

dalle ferite incallite,

e dai groppi di pietra,

ancora vengo a cercare la tua frescura,

il profumo di terra smossa ed erba

la risacca stanca della tua voce

nelle mie smarrite sere….

(c) Jacqueline Osborn
(c) Jacqueline Osborn

PAOLO SALOMONE

Ultimo canto per il padre

Vorrei parlarti, padre, in questa notte

da questa nave che batte a fatica

le tenebre e ricerca un porto vero

dopo prove d’approdi, di conati

falliti sempre d’una piuma. Intanto

scorre il vento sull’équore increspato,

grida un sottile silenzio, uccellino

di cristallo: perciò trabocca ancora

fiume di canto dagli argini della

memoria, note tristi che ravviva

l’arpa del cuore.Rivedono gli occhi

(o credono) il mare verde del grano

e viti appese a sinuose colline

sotto cieli d’infanzia – azzurri, dunque -,

solerti al ruzzo passeri e fringuelli,

il tuo volto giocondo a fatica.

Ed ora, d’oltre il cielo, sappi padre,

che questo tumido lacerto detto

cuore serba anche il pianto del distacco

celato per pudore dai tuoi occhi,

quando partii, nel vento della vigna:

perenne graffio, padre, acre dolore.

PASQUALE BALESTRIERE

POESIE DEL PADRE (e con saggezza mi ha allevato…)

Ci si potrebbe chiedere, incidentalmente,

se per caso non possano essere considerati in larga misura esauriti

i compiti assolti dall‘imago  paterna a livello macroscopico .

Guido Maggioni,  Padri nei nostri tempi

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SEQUENZA AL PADRE NEL CENTENARIO DELLA SUA NASCITA

FRANCO BUFFONI
L’elicotterino
E mi chiedevo
Quante volte lo dovrò far salire su
Tirando forte il filo di plastica
Questo elicotterino
Per poi correre a raccoglierlo
Fin quasi nella neve
Perché lui pensi che sono contento
Che me l’ha regalato.
Virilità anni cinquanta
La bottega del barbiere di domenica mattina
Camicie bianche colletti barbe dure
Fumo. E quelle dita spesse
Quei colpi di tosse quei fegati
All’amaro 18 Isolabella
Al pomeriggio sulla Varesina nello stadio
Con le bestemmie gli urli le fidejussioni
Pronte per domani, lo spintone all’arbitro all’uscita
La cassiera del bar prima di cena.
Le ditte muoiono in ospedale
Le ditte muoiono in ospedale
Quando il titolare dopo trenta
Sigarette al giorno per trent’anni
Entra per controlli
E allora in processione il contabile
Col magazziniere a mezzogiorno
Vengono a riferire per qualche settimana
Poi solo le firme alla sera
E infine è la buonuscita dalla signora
Un’altra processione i figli fuori.
L’odore di mio padre
Cercavo i documenti della casa
Un antico rogito con mappa,
In una borsa chiusa da trent’anni
C’era il suo odore
In divisa da ufficiale,
Saltava fuori fresco
Mi copriva
Di amore singolare.
Nelle vacanze per tenermi occupato
– Non esisteva che leggessi tutto il giorno –
Mio padre mi mandava in magazzino
A aiutare il Giovanni.
Se c’era un lavandino da spostare
Però ci pensava il Giovanni
O le vasche da scaricare,
Io spostavo i rubinetti
E neanche sempre.
C’era dentro l’odore di cartone
E paglia umida,
Carezzavo le gabbie degli scaldabagni
Il legno ruvido.
E il Giovanni che ansimava lo guardavo.

(c) F. Buffoni, tutti i diritti riservati

(c) The Kid
(c) The Kid

OLIVE

FARRAH SARAFA

Your father,
his inheritance shed of him
like the skin of a snake.
only he cried afterward.

Walking through barren olive fields
he envisions their roots active with sprout,
alive, as they once were, with the fruit of his ancestors.

The bitter black taste of Palestinian soil
accompanied by the toasted pita-bread and melted white cheese,

he dreams
of children’s olive-like eyeballs
their sparkling gaze

like onyx,
but the dream is shot with the poke of an empty hand
a branch, fringed-ash and embroidered by greed

whose jugglers and smugglers in moan
have thrown staunch families into pleas
they sneeze
to rid of the fumes clenching their inner lung
constricted black and frightened tongue,
ambitions sullied, by ancestor’s songs unsung

life squeezed out of my grandfather’s love
he blows the ash from a branch
wind carrying it from his eyes
open eyes, lashes curled toward the heavens
he inhales their deeply embedded fragrance
buried beneath layers of activity and reactivity

from which this culture will continue to flourish.

Farrah Sarafa
© Copyright 2006

The Hedger di John Brett
The Hedger
di John Brett

MY FATHER WAS A FARMER: A BALLADE

ROBERT BURNS

My father was a farmer upon the Carrick border,
And carefully he bred me in decency and order,
He bade me act a manly part, though I had ne’er a farthing,
For without an honest manly heart, no man was worth regarding;

Then out into the world my course I did determine,
Tho’ to be rich was not my wish, yet to be great was charming,
My talents they were not the worst, nor yet my education,
Resolv’d was I at least to try to mend my situation;

In many a way, and vain essay, I courted Fortune’s favour,
Some cause unseen still stept between, to frustrate each endeavour,
Sometimes by foes I was o’erpower’d, sometimes by friends forsaken,
And when my hope was at the top, I still was worst mistaken;

Then sore harass’d and tir’d at last, with Fortune’s vain delusion,
I dropt my schemes, like idle dreams, and came to this conclusion,
The past was bad, and the future hid, its good or ill untried,
But the present hour was in my pow’r, and so I would enjoy it;

No help, nor hope, nor view had I, nor person to befriend me,
So I must toil, and sweat, and moil, and labour to sustain me,
To plough and sow, to reap and mow, my father bred me early,
For one, he said, to labour bred, was a match for Fortune fairly …

(1782)

MIO PADRE ERA UN CONTADINO (BALLATA)

Mio padre era un contadino sul confine del Carrick
e con saggezza mi ha allevato alla decenza e all’ordine
Lui mi ha detto di essere un vero uomo, sebbene non abbia mai avuto un soldo
perché senza un cuore virile e onesto, nessun uomo valeva uno sguardo.

Poi nel mondo, la mia strada ho determinato,
che essere ricco non sia il mio desiderio, sebbene esser importanti ha il suo fascino,
I miei talenti non erano il peggio e neppure la mia educazione
fui risoluto quanto meno nel cercare di migliorare la mia condizione;

Così in tanti modi e prove vane ho corteggiato la Fortuna,
Una causa persa, invisibile il suo passo fra noi, da frustrare ogni sforzo
Sopraffatto a volte da nemici, a volte abbandonato dagli amici,
E quando la mia speranza è stata al culmine, ero ancora nel peggior sbaglio;

Poi dolorante, esausto e stanco, con la vana illusione della Fortuna,
le mie difese sono cadute, come i sogni dei folli, e sono arrivato alla conclusione
il passato era in rovina, e il futuro nascosto, nel male o nel bene insicuro
è il presente ora in mio potere, e di questo ne potrò godere;

Nessun aiuto, né speranza, né considerazione, né gente per fare amicizia
quindi devo faticare e sudare, e lavorare duro e darmi da fare a sostenermi da solo
Arare e seminare, mietere e falciare, mio padre mi ha insegnato presto a farlo,
per chi – mi disse – ha l’abitudine al lavoro, la giusta fortuna si incontra….

(traduzione di S. Sambiase)

PADRE CHI SEI?

LAURA LA SALA

Sei il seme
che mi ha generato:
ma non il padre chè
ho sempre sognato

Sé sei l’affetto
le braccia protette
un tetto sicuro
il mio cuscinetto

Se sei la spalla, la consolazione:
La carezza dei giorni miei
La certezza, le radici
La mia fortezza…

Sè sei il padre padrone
il boia, la noia:
non fai parte di me!
Padre è colui che,
anche sé nelle vene
non scorre il mio sangue
Tutto ti da:
bene amore tranquillità

E non c’è seme
non c’è vena
Non c’è sostanza
Padre si nasce
non si diventa

Il padre è Padre!
E non padrone
Padre è colui che,
semina,
genera:
AMORE!…..

(c) Laura La Sala

POESIE PER UN PADRE – né muta né si allontana

 

( Innanzitutto,  la questione della sua presenza o della sua assenza

concreta, in quanto elemento  ambientale.

Se ci poniamo al livello in cui sviluppano queste ricerche,

vale a dire al livello della realtà,

si può dire che è assolutamente possibile, concepibile, attuato e verificabile

con l’esperienza che il padre è presente anche quando non c’è.

Jacques Lacan) 

Léon Spilliaert
Léon Spilliaert

 

LAURA LIBERALE

(da Ballabile terreo)

Tuo padre respira. Non hai mancato l’ora”.

T’aspetta per passare.

E non prendere paura

se la posto del suo letto c’è la bara.

Un giro nella strada e ci ritorni.

Questo, dottore, il sogno.

Il cancro è come una cometa

la coda a cui attaccarsi per tornare.

E lei non è mai stato un pollicino siderale?

Volare verso casa

in groppa alla cartella di un paziente?

Saperti apparire, padre

come il regalo che non osavi chiedere

(e tutta una stazione festosa di campanelli)

per contraccambiare almeno uno dei Natali

in cui tu m’approntavi la ricompensa dell’attesa

e non così

come un paio di lenzuola

al posto del gioco voluto.

Dave Kinsey
Dave Kinsey

ELINA MITICOCCHIO

(Il limite)

Ancora non conosco l’arroganza

verso il tempo creatore

un tempo una giostrina mi faceva

stringere la dolcezza in un momento

ora accarezzo lo spazio che mi separa

dai tuoi occhi vestiti da occhiali da sole

e lo specchio d’acqua si allarga

a domani, avremo ancora cose da raccontarci

io e mio padre siamo due grandi chiacchieroni

 

poesie per il padreAbbott Handerson Thayer

MET

SIMONETTA SAMBIASE

(I fiori)

 

Porto te come il gelo

e già che sono in questo te

tu sei nelle mie lacrime orfane

l’indigeno segno intorno alle ciglia

una volta figlia una volta pianta da da lutto

nei fiori dell’inverno che farneticano

così incrostati di ricordi

c’è il padre, ora

che non ha mai smesso di essere l’ amato.