Terzo appuntamento on line con la poesia e la prosa di Non è solo il silenzio, l’evento on line di Exosphere di Reggio Emilia è dedicato alla poetessa Lucianna Argentino, che dialogherà con Gabriella Gianfelici dei suoi ultimi lavori poetici, inediti, da “Appunti da un canto Controverso”.
L’appuntamento è per sabato 17 aprile, dalle ore 17.30 alle ore 18.30 sulla piattaforma MEET di Google.
Accanto all’ospite d’onore, ci saranno Fiorenza Mormile, Moussia Fantoli, Paola D’agnese. Aprirà l’incontro Simonetta Sambiase di Exosphere e saluterà i partecipanti Roberta Pavarini.
Nell’attesa che ritornino i giovedì (di)versi dove incontrarsi vis-à-vis ad ascoltare poesia nelle sere bolognesi, i nuovi libri di poesia della collana Arcipelago Itaca arrivano anche nel web. Da giovedì 10 dicembre, in una serie di brevi incontri in diretta on line Claudia Zironi, partendo da “Not bad“, l’ultimo suo poderoso lavoro poetico, dialogherà con altri autori della nuova casa editrice . Nella locandina, tutte le informazioni sui primi due appuntamenti.
Come invito, vi lascio alla lettura di tre testi della quarta parte del libro, “Il ritorno degli uccelli” dedicato in toto al 2020, annus horribilis, in cui uno sguardo emozionato e forte avvolge la parola, intercapedine fra speranza e quotidiano. “Queste parole – scrive nella prefazione del libro Francesco Tomada – sono una rete a maglie strette … si nutrono così intimamente della vita dell’autrice da ricavarne un indiscutibile valore di verità. Perché, in fondo, alla fine è proprio questo quello che conta, che la poesia sia vera: se lo è, allora diventerà bella”. Una verità pubblica, che si nasconde nel privato, che ruba la bellezza e che ci stanca, come l’anno (Not bad ma davvero Not good) che è passato come un dolore, un anno che ha allontanato perfino gli uccelli dal cielo e troppe gioie, nel suo girare intorno al nostro sole, intorno al freddo di certi cuori, nel karma laico di certe leggi dei corpi celesti che governano gli sguardi. Forse è lì che la Zironi ci porta, in quell’assioma dove “la verità, come la materia, è sempre in divenire”, e c’è il verso che esplora, che indica, che chiede casa e segni, che chiede bellezza. La bellezza è una dea ricca, minacciosa, spesso lontana. Ci inciampiamo a volte, tra “troppe guerre e troppe paure e il disamore delle stelle“. La preghiera più ascoltata è al dio degli amori mancati, ma il prossimo dio avrà ancora in sé la vita, il rispetto di tutti i credo e di tutte le correnti, perfino quelle dolorose, al di là del conosciuto e dell’inaspettato.
per gentile regalo
di Claudia Zironi
dal libro NOT BAD
***
il nostro tempo ha le ali grandi
vola rasente acqua e le batte con calma
con cadenza precisa. l’acqua che sfiora
non è mai la stessa: benedice il mutamento
santifica il gioco. solo una volta nella nostra vita
interrompe il volo.
***
stare in silenzio non si addice alla primavera
ci sono troppi animali in cielo e in terra
ciascuno intento a propagare la vita.
per tutti si tratta solo di trovare
il giusto richiamo
per arrivare al cuore
***
(5 luglio 2020)
a Francesca, a Lorenzo, agli amici
stavamo in stormo stretti, come attorno
a una rondine e al suo nido, rimasto vuoto
un sabato di luglio per un volo
scelto come ultimo, definitivo
senza colpa e senza grazia, con le piume
di prima della muta, con la fretta giovane
della sconfitta, stavamo in tanti
a proteggere la madre, a perpetuare
la sacralità del rito: aggiustare, abbracciare
porgere il cibo, stavamo immobili
ognuno cantando la sua parte di ricordo
intrecciando invano i ramoscelli
per ricomporre l’intero.
Questo libro è un dono che la Natura, il Silenzio e la Preghiera mi hanno fatto, è un omaggio alla mia lingua elettiva: l’inglese, lingua in cui nasce la silloge; i testi sono infatti bilingue, tradotti dall’inglese dalla bravissima Chiara De Luca che ha saputo con competenza e sensibilità traghettarli in Italiano. È una ricerca della parola nel vuoto del silenzio, nell’animo umano come specchio riflettente della natura che ci ospita. È un viaggio nel magma umano e nelle sue fragilità, ma anche un gioioso inno alla vita. Federica Galetto.
***
WHAT I WANT
What I want is your presence and your glance when I wake up What I want is a calm breeze in this hectic life, a quiet beat of the earth under my feet No enemies knocking on my door No solitude inside of my soul Just a smile when it comes dark, a melody of singing birds on my windowsill What I want is finding a way to create beauty every day, a big tree planted out there so that I can count every leaf from my nest I don’t want anything else if you sit downstairs looking after our love, thinking about our next day to live, thinking about we are tree and leaf, now and forever.
QUELLO CHE VOGLIO Quello che voglio è la tua presenza e il tuo sguardo quando mi sveglio Quello che voglio è un vento calmo in questa vita febbrile, un battito quieto della terra sotto i miei piedi Senza nemici che mi bussano alla porta Né solitudine nella mia anima Solo un sorriso quando fa buio, una melodia di uccelli che cantano sul davanzale Quello che voglio è trovare un modo per creare bellezza ogni giorno, un grande albero piantato là fuori per poterne contare ogni foglia dal mio nido Non voglio nient’altro se ti siedi al piano terra a occuparti del tuo amore, pensando al nostro prossimo giorno da vivere, pensando al fatto che siamo albero e foglia, ora e per sempre.
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SOMETIMES Sometimes the eyes remain silently full Into the deep orbit
of an image they ditch desires Hollow is the mouth down on a tempting heat
And still a vein throbs snuggling its violet nuance
There are cloudy mornings out there and a round sunny hour which sounds and corn flowers tickling my nose where Gods play and laugh
That fringe on a superb lip falls for me Dancing slowly on a lone body I water where no lies grow and life comes to a rebirth Wild is a breath A bunch of ecstatic fire
TALVOLTA
Talvolta gli occhi restano in silenzio pieni Dentro l’orbita profonda di un’immagine gettano desideri Cava è la bocca in fondo su un calore allettante E ancora una vena pulsa stringendo la sfumatura violetta Ci sono mattine nuvolose là fuori e una circolare ora di sole che suona e fiordalisi a solleticarmi il naso dove gli Dèi giocano e ridono Quell’orlo su un labbro superbo cade per me Danzando lentamente su un corpo solitario innaffio dove non crescono bugie e la vita giunge alla rinascita Selvatico è un respiro Un mazzo di fuoco estatico
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THE EMPTY SPACE I HAVE BUILT
The empty space I have built in the colours of sour breaths Overflowing submersed creatures independent And they stop at the only unusual motion that incises the air Among the thousands of inclinations you reach the tones Exasperated lights with no outline urge And the streets don’t believe the overwhelming weight They don’t help the left tracks It would soothe a tremble to me if only I could rule my breast’s incipient edema and the still one of my legs breaking my run I unglue a remote ray in my living I break it down in the sun I know For I never get lost
LO SPAZIO VUOTO CHE HO EDIFICATO
Lo spazio vuoto che ho edificato nei colori di aspri respiri Traboccanti creature sommerse indipendenti E si fermano all’unico moto insolito che incide l’aria Tra le migliaia d’inclinazioni raggiungi i toni Luci esasperate senza contorno spingono E le strade non credono al peso soverchiante Non giovano le tracce lasciate Mi calmerebbe un tremore se solo potessi dominare l’edema nascente nel petto e la gamba immobile che mi spezza la corsa scollo un raggio remoto nel mio vivere lo getto nel sole che conosco Perché mai mi perdo
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IT IS SNOWING A LIGHT FROM ABOVE
It is snowing a light from above No sounds in the grass There’s a little prayer hidden in a curly bush at the bottom of the road and silence that runs like a distilled voice in the air Specular dreams outside my window go ahead on their own sparkling in a bubble I never meant to say I’m ready I never meant to say I’m safe But this calm keep me tight and your arms seem to be closer For a while I stand on the doorway checking out my breath A cracking noise flies and stumbles A sparrow on the window-sill explores my life from the outside
(I see millions of wings wiping my soul)
STA NEVICANDO UNA LUCE DALL’ALTO
Sta nevicando una luce dall’alto Nessun suono nell’erba C’è una piccola preghiera nascosta in un cespuglio ricciuto in fondo alla strada e silenzio che corre come una voce distillata nell’aria Sogni speculari fuori dalla finestra proseguono da soli scintillando in una bolla Non ho mai inteso dire Sono pronta Non ho mai inteso dire Sono in salvo Ma questa calma mi stringe e le tue braccia sembrano qui accanto Per un po’ resto sulla soglia a controllarmi il respiro Un rumore schioccante vola e cade Un passero sul davanzale esplora la mia vita dall’esterno
(Vedo milioni di ali che mi puliscono l’anima)
***
I LEFT YOU I left you in a shade of red down there in the past
A second into a life became my rush and my sound, a visit of a woman carrying her luggage out of a storm And then, in a reason without its neck all the thoughts kept their names in the lazy rock I have inside my chest
A second into a life became my rush Let me start again to seed I’m so tired to be a blade of grass
TI HO LASCIATO
Ti ho lasciato in un’ombra di rosso laggiù nel passato
Un secondo in una vita divenne la mia corsa e il mio suono, la visita di una donna che trasportava i suoi bagagli fuori da una tempesta
E poi, una ragione senza collo tutti i pensieri tennero i propri nomi nella pietra pigra che ho dentro il petto
Un secondo in una vita divenne la mia corsa Lascia che ricominci a seminare Sono così stanca di essere un filo d’erba
***
Il libro è stato creato in inglese e tradotto in italiano, non il contrario. Non è un mistero per chi conosce Federica Galetto e la sua passione per tutto quello che viene al di là della Manica. L’autrice ama anche la lingua tedesca ma non tanto come quella inglese. Aggiungo poi che Chiara De Luca è sempre stata una delle sue traduttrici di poesia preferite. Non mi ha stupita così la scelta di affidare a lei la traduzione del corpo poetico di Ode from a Nightingale. Nightingale è un totem di Federica Galetto. La stanza di Nightingale è stata per decenni la stanza della poesia di un blog importante, che ha ospitato molte liriche di autori diversissimi. Nightingale era anche il nom de plume dell’autrice, una delle sue identità poetiche che aveva bisogno di essere portata fuori, alla luce della scrittura. Ora è arrivato il testo Nightngale, un libro formato da quattro parti, da quattro tempi. Leggo le poesie con la voce di Federica in testa. La conosco da tanto di quel tempo, che la memoria non mi permette di leggere senza sentire il suono della sua voce. Ogni verso, ogni strofa. La cadenza precisa ed aristocratica, la malinconia e il suo legame sotterraneo e profondo con il passato e l’ombra del futuro, le stagioni dei ricordi, il fluire della bellezza negli sguardi dal proprio mondo interiore alla natura che “bussa alla porta” o, ancor meglio, alla finestra della “stanza tutta per sé” dove rivendicare il proprio tempo. Il respiro del mondo intimo, del quotidiano vivere seguendo la commozione del “sentire”, del raccogliere gli ultrasuoni nel sentire dei piccoli spazi, a piedi nudi nella terra, nei piccoli luoghi dove ritrovarsi, dove abbassare la luce e la voce; dove l’immensità è il sentimento, null’altro che il cuore oltre ogni ragione. Questo è il link della traduttrice che legge dei brani dal libro.Vi invito all’ascolto. https://youtu.be/H9pWl-XXh-4
GLI ALBERI DIRIMPETTO
Note di lettura di S. Sambiase edite sul numero speciale de Le Voci della Luna dedicato al Premio Renato Giorgi 2018.
“Testare il tempo\con l’entusiasmo \di una pianta in vaso\quando guarda il prato sotto\e gli alberi dirimpetto”. Il testare del tempo, la semiologia della memoria. Quel raccogliere e riordinare i segni del tempo per affidarli al racconto poetico e alla “restituzione del senso”. Nella raccolta di Rachele Fanti i capitoli scorrono à l’envers, mentre attraversano spazi quotidiani faticosi alla ricerca struggente di una “variazione lirica”, che sparga amore e luce a maniche larghe, perché l’amore che lega e pacifica è lontano. Il viaggio scorre dall’oggi all’eri su versi brevi affiancati da versi lunghi, su parole sorde che sopravvivano a quelle tenui e fanno abito e referto di una negazione imposta dalle assenze. Manca l’amato, il padre, il figlio e se ne canta il bisogno, dal centro di una città, di una casa, in una stagione che non smette di essere fredda e faticosa nel suo vivere con gli occhi stretti dell’inverno. Didone 2.0. è stata abbandonata come lo si fa di questi tempi, senza nemmeno troppo impegno, sospesi, “Standby”: “Nei rimasugli dell’ozio\io e te\finiremo per incontrare spesso \chi non sente male\chi fa solo piacere\per affidarsi all’abbraccio dei treni\vivere il sospeso del fondo binario\comunque”, in una città che è Bologna solo per caso, persa nei riti metropolitani di ogni dove , il post aperitivo, il jazz bar dai tavolini liberty, il tardo pomeriggio al centro commerciale, l’outlet sentimentale, il Rachel point di una cartina turistica. “Non siamo appartenuti all’estate”. L’amore è un urto. Solitudine e desolazione. Delusione esistenziale. “L’amore ai tempi di Artefiera: “Una bugia ben ripiegata\dentro il primo cassetto\con l’impegno che dici di aver messo\alla tua cortesia non fa primavera”. Non c’è primavera neppure all’ora della figlia, nella seconda parte del testo poetico, ancora a ritroso. L’oggi è lontano come lontana “negli anni a venire” è la visione della figlia (di ogni figlia o figlio ormai adulto) in un futuro altrove, chilometri di spazio e di possibilità, dove i crampi dei rimpianti vivono“di ciò che non ci siamo mai detti\precisa dove non ci siamo mai amati\che non si chiamano più rimpianto\che non si gridano più lacrime”; cede il confine fra chi è stato un tempo figlia e non lo è più. La voce è dolorante, demetrica, “L’amore costante\negli abbracci scontati\serrare a sangue le mani\imprimere a mente ogni dettaglio\”. Si è madre per sempre, fin dalla soglia dell’arrivo (Nove mesi: All’alba cessava quella inquietudine tremenda\che supplicava il corpo di omettere le veglie\tardare indenne la notte), inchiodandosi i pesi “sul dorso del cuore”. Il peso della bilancia inversa, della “risposta magra” di anoressiche ombre e nuove paure, a cui risponde la forza pacata della raccolta: “Fronteggio i tuoi digiuni\con l’aria del vuoto a perdere che non tange”. Al “gioco sporco dell’inconscio”, non un solo verso lo si trova arreso: è la pazienza della piantina da vas0.
***
Canicola
di quanti ho amato
mi chiedo l’esistenza
oltre la breccia
da cui sono fuggiti
quando inciampano i sensi:
rughe nella costa
di dritte copertine,
profumo della pelle
oltraggiata dal sole,
ma c’è penombra
e libri accatastati.
il più che posso fare
è spingere la mente
dentro meandri
di non-esplorazione:
luce scarna di frigo
rubinetto di doccia,
ammazzare l’estate
e la sua costrizione.
82% cacao
Gli ho chiesto come preferisce la cioccolata.
Speravo che dicesse al latte
per non avere un’altra rispondenza
un altro buon motivo.
Metto la nostra fondente amara
nello scaffale dei casuali incroci
dove rimirarla – se vince la pigra paura –
e rammentarmi di una strada in salita
giusto dietro l’angolo del cuore,
ha il rosso delle case di Bologna
ma è di là dal valico senza variante.
Te lo dico
a g.
sono venuti
a domandare il perché
– l’ho cercato, ogni volta,
nella piega di un sorriso
che non tema le rughe
come affacciarsi al balcone
senza testare il tempo
con l’entusiasmo
di una pianta in vaso
quando guarda il prato sotto
e gli alberi dirimpetto –
a giorni torneranno
a chieder conto
se non incespicherò
nella motivazione,
soltanto allora
ti sarò fuori
L’amore ai tempi di Artefiera
finché sono settimane,
quando saranno mesi
la misura dello spazio in mezzo
parlerà al posto nostro l’inconsistenza
della pena che ci siamo dati
anche a voler ammettere il conturbamento
di reciproci bluff mentre era tempo,
una bugia ben ripiegata
dentro il primo cassetto
con l’impegno che dici di aver messo
alla tua cortesia non fa primavera.
Nono mese
All’alba cessava quella inquietudine tremenda
che supplicava il corpo di omettere le veglie
tagliare indenne la notte,
e il corpo non rispondeva.
All’alba si placavano la paura di cieco,
l’affanno del morente, la solitudine
sbarrata alle serrande, il sangue rifluiva
col passaggio del primo treno
lo start della caldaia,
e il corpo rispondeva
rotondo docile pieno
ai comandi della vestaglia.
Tua madre, circa
[Soundtrack: Yumeji’s Theme, Shigeru Umebayashi]
(ho deposto il mio segreto
dentro il cavo di un albero
di celluloide pura)
parlo la voce della donna
che ormai non sarò
sbatto nelle porte
senza prodromicità
strappo a morsi le pellicine
dopo scotto le labbra
di dentifricio alla menta
per ascoltarmi ancora
conosco gli occhi stretti
di ogni animale ma
non ne ho mai imparato
senza filo di perle per àncora
m’afferro all’orlo della gonna
che non salga il ginocchio
nemmeno quando siedo
dimentico le mete dove
ho viaggiato profonda
impasto le mani come fossi
nella mia intatta placenta
da cui riparto quotidie
per le nostre prove generali
impacchetto il presente
verso l’arcobaleno domani
questo solo rea confesso: non mancherò
(poi l’ho lasciato a coprirsi
dell’erba che verrà)
L’incubo della bilancia dell’inverso
Fronteggio i tuoi digiuni
con l’aria del vuoto a perdere che non tange
la sostanza scriminata dall’immenso
delle nostre piccole cose.
Riprendo l’ordito dei sorrisi:
sui mille volti dell’avanscoperta
campeggia la misura chiara dell’amore.
#3
sono cambiata
quando ho smesso di esigere
una spiegazione da darti
ché si vive meglio
se le frecce sull’arco
dormono sonni di gloria
basta un mazzo di picchi statistici
a rallegrare il tepore medio
restiamo questo
un capitolo chiuso in fretta
a ispirazione finita,
un tramonto nel cassetto
e buonanotte al capolavoro
Nel numero di ottobre di Poesia, il mensile trentennale di cultura poetica, è comparsa la recensione del libro L’Ingombro a cura di Elio Grasso che mi onora della sua lettura critica.
Questo piccolo evento, mi dà l’occasione di tornare a ringraziare la redazione tutta del premio Giorgi, per la cura costante e materna verso il mio testo: grazie. Grazie Maria Luisa Vezzali. Grazie, Loredana Magazzeni. Grazie, Marinella Polidori.
dalla recensione di Elio Grasso:
“.. Questo è un libro che mostra senza riguardi la propria irriducibile ricerca, anche a costo di squadernare la storia, metterla su piani discordi. E non valgono considerazioni critiche spicce, né tentativi di cataloghi incerti. Esporre crudamente le ascendenze ha ben poco di elegante, e la poesia oggi è abbastanza vechia perché non si possano azzardare profezie fuori fuoco. Si vorrebbero anche più esercizi di tale stampo, fierezze di donne indomite che scrivano, con pelo irto, di cose (non più nominate) da troppo tempo sommerse”.
Con L’amore addosso Gazia Fresu è alla sua quarta pubblicazione, dopo Canto di Sherazade, della quale sono protagoniste le donne; “Dal mio cuore al mio tempo” che ha per tema la relazione tra sé e il mondo e “Come ti canto, vita?” , un canto d’amore alla vita in tutti i suoi aspetti.
L’amore addosso è la raccolta di poesie che Grazia Fresu ha scritto per l’uomo che ama, il suo Capitano come lo definisce nella dedica, e che nella vita è realmente un uomo di mare, un Comandante della nostra Marina Militare. E se il termine di Capitano risulta di grado inferiore nella gerarchia militare, ha di certo echi più alti nella poesia degli autori che Grazia ama, nel Whitman di “O capitano mio capitano”, nei “I versi del Capitano” di Neruda, scritti per un amore sbocciato a Capri nell’ Invictus di Henley, e questa scelta investe il nostro, o meglio il suo Capitano, di una luce da eroe romantico.
Il Capitano è stato il primo amore dall’adolescente Grazia, vissuto sull’isola della Maddalena, insieme, gli innamorati, hanno provato le prime emozioni e i primi turbamenti, poi, come spesso accade, si son persi e ciascuno ha vissuto pienamente il proprio tempo sia sul piano affettivo che su quello professionale senza condividerlo con l’altro, ma la loro storia non era finita e la vita li fa incontrare di nuovo e di nuovo innamorare per comprendere che sono stati, l’una per l’altro, l’amore della vita.
Il tema dell’amore ritrovato lascia increduli e poi emoziona, sa di favola, di commedia a lieto, anche se tardivo, fine, ed invece è vera come la vita stessa che non smette di sorprenderci e di offrirci opportunità. Ed è l’oggi il tempo che conta, il ritrovato amore che Grazia vive e racconta, senza esclusioni di sorta né inutili pudori, in tutte le sue possibili declinazioni. Lo fa da donna passionale, carnale e coraggiosa qual è, una donna che crede profondamente nella vita e nella possibilità di ricominciare sempre, una donna che ha in sé il passato e guarda al futuro ma vive l’oggi, unica nostra certezza, pienamente.
Lia Aurioso e Grazia Fresu
La poesia di una donna, anche laddove vengono sottolineati gli aspetti più femminili, la cura per i dettagli di natura più o meno domestica o l’attenzione per i moti del cuore, deve essere svincolata dalle differenze di genere. La poesia è prima di tutto poesia, buona o meno buona che sia, e come tale va valutata.
E la poesia di Grazia è prima di tutto poesia vera, lirica, musicale, talvolta epica, di matrice mediterranea, una poesia che si esprime per immagini vivide che investono i nostri sensi e ci rapiscono il cuore coi profumi e i colori del mirto e delle rose, delle arance, della pelle degli amanti, del mare e delle emozioni.
Una poesia che nasce dall’assenza dell’amato, un’assenza che si fa presenza costante ed amorevole per accompagnare la poetessa lungo i giorni dell’attesa.
“In presenza dell’assenza”, citando il grande poeta palestinese M. Darwìsh, e per placare la mancanza dell’amato, nasce la poesia de “L’amore addosso”, la prima raccolta di versi tutta dedicata all’ amore di Grazia Fresu.
La lettura della raccolta è una sorta di viaggio epico attraverso una costellazione di temi e sentimenti che cantano ora l’attesa dell’amato e la distanza che li separa con le acque dei mari, ora la voce che li unisce attraverso il telefono e la presenza che resta oltre l’assenza, poi, finalmente, il mito dell’incontro, le attenzioni reciproche, la certezza, dopo dolori e tradimenti, dell’amore ricambiato, accogliente e dolce, ma sopra ogni cosa appassionato come quello di un tempo.
Parallelamente al suo capitano, la poetessa ha superato tempeste e solcato mari, figli dell’isola hanno entrambi il mare dentro e sono finalmente giunti in porto con la bonaccia, ma la quiete non è mai abitudine ed ha con la Fresu il sapore di un’epica avventura, una nuova Odissea con Atena che visita gli innamorati per restituire loro ogni incanto perduto affinché l’incontro sia bello e lieve come appena nato, come lo fu per Penelope e Ulisse ritrovatisi sul letto d’ulivo.
Sarà, allora, L’amore addosso, l’amore che non si può nascondere, caldo come una seconda pelle, come strati di baci, come un fiume impetuoso che trascina via il freddo e i timori dell’abbandono e che preme per essere raccontato attraverso la poesia. Una dichiarazione d’amore per l’amore, per la vita tutta e la poesia la cui scrittura accompagna l’autrice da sempre e le consente di esprimere tutte le sfumature dell’animo.
I riferimenti, peraltro bellissimi, a quegli aspetti squisitamente femminili di cui dicevamo, sono una costante nella poesia di Grazia Fresu, ne sono sostanza come la presenza del mare che misura le distanze, segna i cicli e il flusso della vita che, simile alle maree, si ritira per tornare a donare in un continuo movimento e rende inquieti coloro che hanno il mare dentro e sono costantemente in cerca dell’altrove.
Scuotiti la tristezza e spalanca lo spirito,
perché la pigrizia non ti permetterà di vedere che la ruota del destino
ti starà sempre dietro alle calcagna
e che solo davvero vive l’uomo che supera la vita.
Non incoraggiare la sofferenza
che ti abbandona poco a poco nelle braccia della morte,
perché vivere è sforzarsi e solo questo vale la pena.
Non rinviare oltre il tuo compito
e, al calpestare il cammino della vita,
lanciati come seme al solco senza guardare al passato.
Gettaci dentro tutto ciò che è vivo e lascia in te tutto ciò che è morto,
perché la vita non segue il capriccioso cammino delle nubi
e un giorno questa semina darà i suoi veri frutti.
(c) Traduzione di Anna Fresu
della poesia di Miguel de Unamuno
“Sacúdete la tristeza y despabilla el espíritu”
Sacúdete la tristeza y despabilla el espíritu,
porque la pereza no te permitirá ver que la rueda del destino
siempre va pisándote los talones
y que sólo vive realmente el hombre que rebosa vida.
No alientes el sufrimiento
que te abandona poco a poco en brazos de la muerte,
porque vivir es esforzarse y sólo ello merece la pena.
No postergues por más tiempo tu tarea
y, al hollar el camino de la vida,
arrójate como semilla al surco sin mirar al pasado.
Echa en él todo lo que está vivo y deja lo muerto en ti,
porque la vida no sigue el caprichoso camino de las nubes
y algún día esa siembra dará sus própios frutos.
UNAMUNO, HILDAGO RIBELLE
Unamuno
di Marìa Zambrano
Miguel de Unamuno (1864-1936) ci offre una vita troppo ricca di peripezie. La sua vita sembra drammaticamente inscritta tra due guerre civili, stretta al loro interno, troncata di netto dall’ultima. Fu un hildago ribelle alla “civilizzazione di corte” del XIX secolo che in quegli anni, a partire dalla Restaurazione, entrava nel suo apogeo, nei suoi giorni più promettenti…
Unamuno è contemporaneo, della stessa generazione di Freud, Bergson e Husserl. Seppure così diversi Bergson, Freud e Husserl hanno qualcosa in comune con “don Miguel”: qualcosa che potremmo chiamare lo spirito, il volume che hanno riempito, lo spazio vitale che hanno ricoperto. Una vita lunga e piena sino alla fine di impegno in un’unica direzione. E nella loro opera un orientamento comune. il “fiume della coscienza”, la misteriosa realtà, quel quid che non è una cosa ma che sostiene le cose. E’ la generazione che si addentra in zone mai esplorate prima, un conflitto percepito da diverse angolazioni ma sempre lo stesso: il conflitto tra la coscienza e ciò che non lo è…
La prima cosa che salta agli occhi nel nostro personaggio è il suo splendore espressivo, la sua immensa capacità di espressione. Genio dell’espressione e della rivelazione attraverso la parola. Se pure entrò nella cultura europea, riuscì a non perdere la chance della natura ispanica, con la sua corsa sfrenata nello spazio senza confini. Unamuno voleva innanzitutto risvegliare l’ansia di vivere, la volontà di esistere, la fede nella resurrezione…
Salamanca fu la sua sposa: qui volle lasciare il suo nome inciso per sempre. Salamanca era forse la misura dell’agorà per don Miguel. Non nella sua azione, ma nella sua vita quotidiana; sentiva la necessità (forse) di uno sfondo in cui si potesse stagliare la sua figura solitaria e ineguagliabile. Il suo ritiro ha tutta l’aria della dissidenza, ma anche della baronia del signore feudale che non cede alla centralizzazione monarchica.In questo è fondamentalmente liberale, tradizionalmente liberale.
A Bologna si trovano ormai da anni per un loro percorso comune sulla discussione poetica. Una parte del loro lavoro è racchiuso in questa nuovissima antologia, Della propria Voce. Sono dieci poetesse del Gruppo 98 che hanno collaborato a sviluppare gli argomenti e che hanno scritto un’ottantina di poesie correlate dalle riproduzioni delle belle opere da Donatella Franchi. Le autrici sono Paola Cimatti, Leila Falà, Zara Finzi, Serenella Gatti Linares, Loredana Magazzeni,Paola Tosi, Alessandra Vignoli, Vannia Virgili, Anna Zoli, Giovanna Zunica. Riflette Leila Falà: “E’ un’antologia che parla del dare voce alla propria capacità creativa, di ascoltare e dare spazio a quella voce, propria, interiore, a quella spinta a sperimentare, andare oltre, rinnovare. Coltivarne l’esigenza, il desiderio. Ma racconta anche come si lavora, di cosa e come si parla nel Gruppo ’98 Poesia.Riguarda la poesia, riguarda lo stare insieme, il produrre. Il fare al femminile”
Nel libro si notano anche due interventi delle psicologhe Pina Galezzi e di Daniela Palliccia.
Per gentile regalo di Leila Falà vi invitiamo a leggere due poesie dal libro, che è edito dai tipi della QUDU Libri e si trova in vendita nelle librerie e sulle maggiori piattaforme digitali.
Rannicchiata (da un’immagine affiorata nel dormiveglia) di Leila Falà
Rannicchiata
come bambina
sul gradino della porta
che introduce alla tua casa.
Minuscola eppure
hai capelli solo bianchi
guardi e pensi se stare ancora
oppure entrare.
La casa al chiuso offre l’interno
il gradino offre la strada
il giardino offre l’esterno.
Lo stare è la perenne soglia.
Lo sguardo al lontano
la fronte al pavimento
i gomiti sulle ginocchia
le mani pencolanti foglie.
Ne resta di tempo per fare
per essere ancora altro.
Rinnovarsi? È con stanchezza
che pensi al da farsi.
Energia da trovare.
Come se sbagliare costasse tutto.
Come se tornare fosse interdetto.
Ma non è forse stato sempre così
lancinante pericoloso e ultimo il cambiamento?
Esperimento pericoloso
Tira e tira e tira e fai
sul filo del poi, che vengo, che dai
che è tardi, che faccio, che vedo
che dico e preparo, sistemo, poi scrivo.
Poi. È più tardi che scrivo
amica che vedo, che corro – mi manchi –
a prendere col pensiero
mentre compro il prosciutto.
Aspetta che ti telefono prima
di cena, dopo la spesa, dopo la cena, ma che
nessuno si accorga che sono tornata
e neanche che manco, ancora, da casa
non manco, ci sono, solo
non posso chiamarti, amica.
Ti scrivo più tardi un messaggio.
Non posso, non va. Sai, mi lascia il marito
lo sai? Tu che fai? Che dici? Che fai?
Ti sei separata? Anche tu?
(come mai? come me?)
Ma ora non posso.
Ti parlo domani o forse giovedì.
Ora vado.
È la fretta del tempo, la cena, la casa, ti vedo
mi manca, mi manchi, sei un poco sparita.
E poi scrivo, è poi che io scrivo
stanotte.
Ora mi manco. Stanotte col silenzio dovuto
col marito che attende o che va, che saluta.
Sei sparita, è sparito.
Io che salto il tempo che occorre
a lasciar decantare il tempo
di amare e di restare.
Mi manca, mi aspetta, mi vede.
Io vado e spero.
Se posso respiro.
Pericolo so.
Sei donna di valore di Loredana Magazzeni
Sei donna di valore, ma te lo dico in privato
in pubblico mi presentano uomini
poeti, essi hanno il polso della
situazione poetica, si confrontano con altre
cerchie poetiche. Noi, ci troviamo in privato
parliamo piccolo. L’affetto che sentiamo
l’una per l’altra è cosa di poco conto
per chi guarda da fuori. Noi non vediamo
noi stesse, se ci affacciamo allo specchio
poetico: decenni di lavoro costante
annullati da migliaia di sguardi
che dicono no, non esisti, non esisti
non tentare di esistere, senza di me.
La leggerezza di Ferragosto è una moina di gatto pigro e uno scatto improvviso di lepre.
MUPSI
di Nikos Dimou
Stoico come un filosofo romano.
Immoto per ore, giornate.
Un’altra dimensione dentro agli occhi
Non un gesto di troppo
né un pensiero di troppo.
Quando sento parlare d’autoanalisi,
d’introspezione, di concentrazione,
io penso sempre a Mupsi –
il compatto rigore d’un teorema.
Franz Marc
IL GENIO
di Eugenio Montale
Il genio purtroppo non parla
per bocca sua.
Il genio lascia qualche traccia di zampetta
come la lepre sulla neve.
La natura del genio è che se smette
di camminare ogni congegno è colto
da paralisi.
Allora il mondo è fermo nell’attesa
che qualche lepre corra su improbabili
nevate.
Fermo e veloce nel suo girotondo
non può leggere impronte
sfarinate da tempo,
indecifrabili.
CARNEVALE A PRATO LEVENTINA
Giorgio Orelli
E’ questa la Domenica Disfatta,
senza un grido nè un volo dagli strani
squarci del cielo.
Ma le lepri
sui prati nevicati sono corse
invisibili, restano dell’orgia
silenziosa i discreti disegni.
I ragazzi nascosti nei vecchi
che hanno teste pesanti e lievi gobbe
entrano taciturni nelle case
dopocena; salutano con gesti
rassegnati.
(c) Christina Lovisa
Li seguo di lontano,
mentre affondano dolci nella neve.
(Per contaminare i generi perchè anche il genere è stereotipo, Vi propongo anche un testo di una canzone di una cantautrice genovese, Claudio Pastorino)
I GATTI DI BAUDELAIRE
testo di Claudia Pastorino
Mi chiedo com’è che innamorati e dotti
amino ugualmente i Gatti dolci e dormienti
orgoglio della casa, freddolosi, scaltri, sedentari
maghi, demoni, santi, amici del piacere.
Evoluzione dell’uomo e del pianeta
non piegati dall’erebo triste, dall’ombra mesta
ma reni feconde, pupille golose, nobili e ignobili
compagni discreti, amanti ed esteti.
Mi chiedo e rispondo ed è tutta una danza dintorno
se catturi il mio sguardo nel tuo vedo dentro di me
che stupore nel trovarti negli occhi smeraldi e topazi
e godere del tuo contemplarmi, quasi fossi migliore
e sentirmi migliore, come un altro da me.
Voce discreta dal timbro lieve
coi piedi felpati a passeggio nel mio cervello
oh voce incupita! d’incanto ora è forte, mi ha stupita!
la casa rallegra, dirada i miei mali.
Ispirazione di matti e rimatori
conoscitori dell’Arte di essere amati!
ammaliatori indugiano sulle mie dita
vi sfiorino lievi il manto prezioso!
Mi chiedo e rispondo ed è tutto un giocare dintorno
se catturi il mio sguardo nel tuo vedo dentro di me
oh pupille lucenti! oh vividi opali cangianti!
e godere del tuo contemplarmi, quasi fossi migliore
e sentirmi migliore, come un altro da me
come fuori di me!
Mi chiedo com’è che innamorati e dotti
amino ugualmente i Gatti dolci e dormienti
orgoglio della casa, freddolosi, scaltri, sedentari
maghi, demoni, santi, amici del piacere!