Che voglia o no. Poesie e riflessioni contro la violenza dal patrimonio poetico femminile

Basta guardarsi intorno per trovare esempi di assurdità criminali.

(Il libro del potere, Simone Weil)

l’uomo che diventa una vite

i giardini coltivati e corda tiene

lo stupro l’aria muore le mosche –

oh! iddio che non salvi.

il mercato nei cesti di rosso

strada di mammelle e di vento

il cotone in cui sale spavento

non sai se è guardare.

Nadia Agustoni

Solo se si conosce l’imperio della forza e se si è capaci di non rispettarlo è possibile amare.

(Il libro del potere, Simone Weil)

Non ho voglia di aprire la bocca

di che cosa devo parlare?

che voglia o no, sono un’emarginata

come posso parlare del miele se porto il veleno in gola?

cosa devo piangere, cosa ridere,

cosa morire, cosa vivere?

io, in un angolo della prigione

lutto e rimpianto

io, nata invano con tutto l’amore in bocca.

Lo so, mio cuore, c’è stata la primavera e tempi di gioia

con le ali spezzate non posso volare

da tempo sto in silenzio, ma le canzoni non ho dimenticato

anche se il cuore non può che parlare del lutto

nella speranza di spezzare la gabbia, un giorno

libera da umiliazioni ed ebbra di canti

non sono il fragile pioppo che trema nell’aria

sono una figlia afgana, con il diritto di urlare.

Nadia Anjuman

La violenza schiaccia tutto quello tocca. Finisce con l’apparire estranea a colui che la esercita come a colui che la subisce.

(Il libro del potere, Simone Weil)

Ti

hanno

insegnato che

le tue gambe sono un pit stop

per uomini cui serve un luogo di sosta

un corpo sfitto abbastanza vuoto

da ospitare ma nessuno

viene mai né è

disposto a

restare

Rupi Kaur

E dove non c’è posto per il pensiero, non ce n’è anche per la giustizia e la prudenza. Ecco perché uomini armati agiscono in modo folle e spietato. Le loro armi affondano nel nemico disarmato che giace ai loro piedi; essi trionfano su un morente descrivendogli gli oltraggi che il suo corpo subirà.

(Il libro del potere, Simone Weil)

Gli alberi occupano l’aurora della famiglia. L’animale

è una massa di attenzione, la musica sale

dai gomiti appoggiati alla terra. La campagna, quel grumo essenziale

di rondoni e polvere serena è ora tavola, macero

e orinatoio, principio attivo dell’anima.

Lei trasformata

dalla scoperta che l’amore vibrava come un timpano d’acqua

dalla base del

tempo. Lo rivelano

le tracce ritrovate successivament in mare – sulla città di pietra

degli scogli

e l’impronta caucasica della scomparsa.

Mamma – mi sento come se volassi – davanti

a queste statue che ti somigliano. Indagine

della sbordatura plantare, la luce, – poco incline – sulla spalla:

rosa vinosa

d’alba fiorentina. Non mi hanno ridato l’impermeabile

che avevo offerto per coprire il suo eccesso di opacità.

Domando cosa non l’abbia fatta risplendere: il mio corpo di latte

era carico di misericordia. Sovrastate – restituite

allo stato di cose le sue ossa dolevano grandiosamente, mute

come respira muto dalle origini il neutro.

Maria Grazia Calandrone

Se si analizzassero … tutte le parole, tutte le formule che nel corso della storia umana hanno suscitato o spirito di sacrificio e insieme la crudeltà, si scoprirebbe che sono tutte ugualmente vuote.

(Il libro del potere, Simone Weil)

Solo per un giorno

essere come voi.

Solo per un giorno

toccare integro il mio corpo

farlo volare in alto

e poi

distenderlo sulla terra

pesante e felice.

Solo per un giorno

cancellare

la ferita che mi rinnova

l’incubo

che spurga le mie viscere

che fa gemere le mie notti.

Solo per un giorno

non pensare

ad una triste sorte

che nella luce tiepida

di una fine giornata

di ottobre

s’incollò ai miei anni acerbi.

E per non vacillare

trasformare la realtà

pregando in silenzio

in un mantra tutto mio

dove la carezza rinsaldi

gli infami spacchi.

Gabriella Gianfelici

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Anna Maria Curci: “Nel segno del duale: Borea”. Poetarum Silva.

Nel segno del duale: Borea di Simonetta Sambiase
di Anna Maria Curci

Ringrazio la professoressa Anna Maria Curci della pregevole lettura di “Borea”su Poetarum Silva.

Ne trascrivo la prima parte sul mio piccolo blog. In calce, il link di Poetarum Silva dove continuare la lettura.

NEL SEGNO DEL DUALE:

BOREA di Simonetta Sambiae

di Anna Maria CURCI

«Due mondi – e io vengo dall’altro»: questo verso che si ripete in Diario bizantino di Cristina Campo costituisce una affermazione che colloca provenienze e disposizioni, una affermazione che non preclude la precisione dello sguardo e del dire e che tuttavia introduce ad altri ritmi, altri colori, altri toni nel profondo. È una affermazione che mi sembra particolarmente calzante per Borea di Simonetta Sambiase.
Già nel titolo, Borea, si schiude l’accesso, ancor prima all’universo poetico di questa raccolta, all’immaginario di chi legge: Borea come vento del nord, come emisfero settentrionale, come figura mitologica, punto di riferimento per l’avvicendarsi delle stagioni: «ah Borea, Borea» ricorre due volte nel componimento finale della prima parte della raccolta, con un effetto duplice, quello di segnare il passaggio, di marcare il preludio a «un nuovo perimetro del caos», e quello di far brillare le polveri, di “incendiare” le parole nella cassa di risonanza di chi legge, di sollecitare connessioni.


Le due parti che compongono la raccolta, intervallate da Fiato (intermezzo pandemico), hanno nomi che recano il segno del duale: (I – Di giorno, lavoro e gironi di contorno) (II – Di notte, perdono e filastrocche). Sono due dimensioni che si danno il cambio, con cadenza regolare. Senz’altro complementari, esse si presentano come l’una opposta dell’altra, l’una l’ombra dell’altra, due emisferi, appunto.
Eppure è nel dilatarsi improvviso di quei cambi della guardia, nell’estendersi della zona grigia di confine (Zona grigia di mattina titolava Durs Grünbein una sua raccolta nel 1988), nelle trame espressive e nell’insinuarsi di sfumature cromatiche da una dimensione all’altra, che la parola dell’io poetico femminile e del suo interlocutore, indicato con il pronome alla seconda persona singolare (un sé maschile in dialogo con il sé femminile? un altro da sé?), dispiega il suo contrappunto. Già la seconda strofa del testo che apre la raccolta dà prova mirabile del coesistere di istanze e tensioni contrapposte:

Azzurra tempesta è un giorno come un altro
una notte e l’altra sua ombra      di notte      prende aria perde cuscini spegne i confini
fra poco, il mattino apre gli occhi e le abitudini
mentre tu prosegui sveglia
dove non ci si incontra non ci si libera non ci si riconosce non ci si fiata.

La lettura continua su Poetarum Silva a questo link

https://poetarumsilva.com/2021/10/27/simonetta-sambiase-borea/

Borea. La recensione di Fernanda Ferraresso sulla rivista di cultura poetica e letteraria Menabò.

Borea

Benvenuti, benvenute. Il Golem Femmina riapre. 

Vi saluta e vi invita al viaggo dell’ultima parte dell’anno con il reblog di  una firma importante del panorama critico letterario, Fernanda Ferraresso. Fernanda Ferraresso ha recensito Borea, il libro appena pubblicato da Terra d’Ulivi di Simonetta Sambiase. 

Vi invito alla sua lettura a questo link. 

https://www.menaboonline.it/borea-di-simonetta-sambiase

Vi ricordo che la mail per comunicare con il blog è golemf@virgilio.it 

 

Buone vacanze e buone letture

Si chiude temporaneamente il blog per andare ad aprire i libri acquistati e non ancora letti come anche i libri letti e da voler rileggere. Si chiude temporaneamente per fotografare e per provare i nuovi colori degli acquerelli comprati  e non ancora messi sul foglio.  Foglio che potrebbe essere colorato magari anche dalle matite inglesi acquistate in un momento autogratificante e chiuse nella scatola ad attendere l’uso. Si chiude per indossare le scarpe da trekking e passeggiare di sera nel parco di Rivalta. Si chiude per andare al mare a leggere il libri acquistati e non ancora letti, a fotografare e a colorare insomma. Si chiude per ritrovare bellezza e armonia, seppure per poco tempo.

Buone vacanze a tutte e tutti voi e a tutte e tutti voi buona creatività e buon riposo. Continua a leggere

Ripiegare i giorni addietro. Opera incerta di Anna Maria Curci.

opera incerta

Mentre qui aspetto
mi si accosta il silenzio
e suggerisce

Anna Maria Curci

Dell’opus incertum ne abbiamo traccia ovunque: sotto i nostri piedi, accanto al nostro cammino, lungo le grandi strade che da Roma portano fino alla fine del mare del Nord. Dell’opus incertum, in arte, ne abbiamo studiato presto la solida architettura, destinata nei secoli a chiudere i nemici oltre i muri, oltre il vallo e ugualmente scelto a sostenere sulle sue spalle le volte degli archi, aperti spazi del cielo fra le mura. Incertum. Incerto. Non per antifrasi ma per diversità di materiali che lo compongono, per diversità di forme che lo stratificano. Amalgama di forme e di materiali: la diversità come valore, come regola per resistere ed esistere nel dettato della poesia della vita “con miglior corso e con miglior stella” come indicato da Dante.
La sinestia con la poesia dell’opus incertum è presentata alle arti dalla raccolta Opera incerta, di Anna maria Curci, e il testo ti tocca dal profondo.
Con gran talento, nel dipanarsi dei versi, “Passa il tempo impunito/e sparge sale, ma non lo vediamo.”, e la poesia “racchiude il ricordo/e non rinnega”.
Il testo scioglie e coagula un conglomerato di masse e frammenti confitti nell’ammasso ancor fresco del nucleo dell’evocazione, architettura tenace, resistente ai secoli, che “più degli omissis” teme” le omissioni/le sommosse mancate contro l’inanità”. Si mostra agli occhi della poesia, poesia di cui non possiamo fare a meno. Essa è l’ossatura delle nostre strade antiche, l’idea da dove siamo partiti per trovare radici sicure che ci proteggessero dall’ordinario, dall’insensibile.

Poesia a cui chiediamo l’esperienza e l’evocazione, l’indagine e il sogno, la sommossa e il prodigio, la memoria e il riso d’amore (che “non è mai peccato”). Chiediamo all’opus incerto, all’Opera incerta, di permetterci di “leggere versi all’alba/salutar maestri/nel vento freddo/dell’oscuramento” e l’autrice, che “conosce” e “racconta”, ci porta nel posto dove accadono le esperienze, dove la storia, ogni storia qui evocata, è stata straordinaria e la poesia, opera incerta, ha messo insieme ogni elemento diseguale, ha avuto la voce aperta.
Opera incerta, opera totale, opera di valore.
Consapevole della “musica della pazienza”, l’Opera attrae e invita. Mnemosyne regge, apparendo fin dall’esergo joyciano in cui l’invocazione al passato è la guida, la sfida dell’es e dei verbi che esortano al viaggio. L’autrice è la barcaiola, e la sua barca non ha vele (le vele sono suddite dell’inaffidabile vento) ma remi. Remi che portano da una sponda all’altro del viaggio, seguendo l’appoggio delle strofe, il perimetro dei distici e dei versi liberi, la linea dei baci delle rime e dei landay, i piedi della metrica classica e gli imperativi dei verbi.
Conducono gli anni, che lungamente hanno formato la raccolta. La vita ne scorre dentro come la storia, tópoi della sconfinata cultura dell’autrice, costruzione costante all’interno e fuori le mura del libro, dove “sciama la misericordia”, poiché il cuore umano “resiste a tutto” (come scrive Felicita Hoppe) tranne al fumo dei roghi e dell’inanità. “Chi ha più spesso occasione di sentire che gli viene fatto del male è proprio chi è meno capace di parlare” scrive Simone Wail, e la poesia spalanca quel silenzio. La storia è ombra che chiede luce e la poesia è pietra d’inciampo, ha l’esperienza del ricordo. Dove passa la gloria del mondo la poesia di Opera incerta ci dona il suo valore, le sue pieghe e i suoi varchi di luce. “Lo slancio riconosco,\la luce tende braccia\non si fa definire”. Brucia sul rogo il cuore di Giovanna e i figli sono cresciuti fra un film di Fassbinder e uno di Von Trotta imparando la lingua dei sogni e restituendola indietro. La porta di Ištar è chiusa, eppure da lì partono i nuovi dannati dei viaggi della speranza migrante, mentre ancora sulla Terra sussultano le voci dell’inferno, fra Dante e Sartre, Birkenau e la stazione centrale di Bologna.
Il ricordo è il dovere della cultura, il suo punto di domanda.

Ma è il cuore che conduce. E il cuore dell’Opera ha un ritmo raffinato. Un azzurro Erlebnis continuamente si sovrappone al tempo ed interseca la linea della storia. L’azzurro che “fiorisce nella testa” è l’alta volta sulle spalle del muro incerto, che accompagna ogni pagina e solleva dalla fatica del tempo e della storia, in un dialogo per frammenti e dolcezze che nel silenzio cerca la grazia fra il mondo e l’interiorità “Così va azzurro l’oggi/non cerco altre parole. /Si affacciano discrete/ se offrono riparo./ Sui sentieri interrotti/non portano salvezza/rebberciare non sanno. /Duetta l’ombra con la luce”. Il moto dolce e paziente, costruito ed emerso al di là di ogni male patito è lo spazio assoluto in cui la poesia si relaziona. Traccia la mappa della salvezza. “Nei giorni di canicola e di merla” tutti gli affetti sono stati custoditi. E amati. “Il tuo sorriso mi è venuto incontro”. L’affezione, contrario vocabolo della vacuità, è stato riparo e protezione. E coscienza. E poesia, opera incerta.

Tre poesie da Opera Incerta
di Anna Maria Curci

opera incerta Continua a leggere

(ancora) Poesia. On line la nuova edizione della Palabra en el Mundo

https://palabraenelmundovenecia.wordpress.com

On line l’edizione 2021 della sezione italiana del festival internazionale de ” La Palabra en el Mundo”, curata da Anna Lombardo, giunta alla sua quindicesima edizione.Palabra en el mundo Venezia XV 2021_definitiva copia_page-0001

Nella presentazione di Anna Lombardo ricorda che la Palabra en el Mundo è legata al Festival Internazionale di Poesia organizzato all’Avana e si svolge in contemporanea, nel mese di maggio, in più di 900 località nel mondo. “Il festival veneziano  – continua la direttora – è diventato nel tempo uno spazio di incontro più ampio e aperto; la poesia che in esso si ascolta è qui a parlare di noi tutti, a raccontare – come un tempo facevano i folli con gli ancor più folli regnanti – che la pace è parola da scambiare come segno reale di pace e non con missili e bombe, disoccupazione e disuguaglianze civili e sociali.

Anna Lombardo spiega anche che “Le restrizioni che il Covid-19 ha imposto a noi tutti, ci ha costretto a modificare il nostro abituale incontro con i partecipanti e le partecipanti e con il pubblico della poesia. I protagonisti e le protagoniste che ascolterete in questa XV edizione appartengono ad esperienze generazionali e geografiche differenti che, ci auguriamo, insieme agli scatti veloci che ci hanno inviato, ci aiuteranno a riflettere su dove stiamo conducendo questo nostro fragile pianeta.

Fra i protagonisti e le protagoniste di questa edizione, ricordiamo tra gli altri Fabrizio Buratto, Lucia Cupertino, Rita degli Esposti, Benny Nonasky, Patrizia Sardisco e moltissimi altri poeti e poete internazionali. E’ presente anche Simonetta Sambiase, che a questo blog appartiene.

Troverete tutti e diciotto poeti e poete partecipanti al link

https://palabraenelmundovenecia.wordpress.com/2021/02/16/programma-e-poeti-xv-edizione/

“Oltre alle voci dei poeti e delle poetesse – continua Anna Lombardo –  in questa XV edizione di Palabra en el Mundo, continua il consueto omaggio a Mario Geymonat e alla lingua latina. Quest’anno è stato curato da Anna Chahoud, Charlie Kerrigan e Carlo Franco che hanno scelto per noi, alcuni passi dalle Georgiche Virgiliane.

La solita conversazione a latere del Festival Palabra en el Mundo, è stata invece sostituita dal progetto “Traduzioni al Tempo del Covid”, che ha raccolto le traduzioni di nove artisti della parola i quali hanno aderito generosamente a questa iniziativa”.

Il comitato artistico organizzativo della Palabra italiana è composto da Fabia Ghenzovich, Giovanni Asmundo e Zingonia Zingone. 

Durante i prossimi racconti del blog, troverete degli approfondimenti sulle poesie partecipanti all’edizione. Come sempre, per segnalazioni o approfondimenti, la mail del Golemf è la seguente: golemf@virgilio.it

 

DONNE MIGRANTI E PRATICA DI SCRITTURA: NUOVO APPUNTAMENTO CON EXOSPERE ON LINE.

dalla prefazione di

Un posto nel mondo

Donne migranti e pratica di scrittura

… Ad accomunare le persone intervistate sono l’appartenenza di genere, l’esperienza migratoria e il fatto di avere pubblicato in italiano. Per il resto le differenze sono molte. Le scrittrici intervistate provengono da Somalia, Eritrea, Tunisia, Albania, ex Jugoslavia, Russia, Georgia, Romania, Mozambico, Egitto, India, Argentina e Brasile. E si sono spostate per motivi differenti: studio, lavoro, amori, fughe da situazioni collettive insostenibili, guerre. Le donne intervistate non sono un campione rappresentativo in termini numerici, ma in se stesso questo ventaglio di storie è molto istruttivo: la nostra immaginazione impigrita da stereotipi e discorsi riduttivi si confronta con l’enorme varietà e complessità di ciò che costituisce “migrazione”, ne mostra snodi imprevisti e a volte imprevedibili, la sua natura processuale, e la quantità di attori differenti che, a vario titolo, vi sono coinvolti.
In ogni caso, vi sono dimore abbandonate e altre trovate. A volte sembra che solo nello spazio in mezzo fra queste due dimore si possa essere in pace. Come dice la madre di una intervistata: “Guarda, c’è un unico posto dove non ti lamenti, qui sul traghetto, in mezzo!” (p. 145). Ma c’è un altro spazio che si forma, quello del racconto. A suo modo, il racconto è dimora. Specialmente se si racconta di sé, è un modo di ricomporre l’esperienza.
È una dimora scrivere innanzitutto. La creazione di uno spazio di raccoglimento, di elaborazione. Non sempre di pacificazione, ma di una certa conciliazione con la propria storia almeno. Anche pubblicare mette capo a un far dimora: si scrive nella lingua del paese ospite, ci si fa conoscere, ti invitano, costruisci relazioni. E fa dimora infine raccontarsi a voce, dialogare con la ricercatrice: che non si nasconde, mette in gioco le proprie domande e le proprie riflessioni, e con ciò offre uno spazio di ascolto, di elaborazione ulteriore condivisa.
L’ascolto conta. Queste donne hanno scritto in italiano perché italiane si sentono, del tutto o in parte. Come ci si può sentire italiani oggi. L’Italia fatica a riconoscere nel proprio discorso pubblico la presenza di persone come loro, per le quali “migrazione” non significa sbarchi, non ha niente neanche lontanamente a che fare con questioni di sicurezza (se non la loro), significa lacerazioni e speranze, memorie e aspirazioni, curiosità e sconcerto, situazioni obbligate e scelte, familiarità ed estraneità ad un tempo. L’Italia fatica a riconoscere un mondo sociale che è già, da tempo, abitato da persone come queste. E da noi con loro.
Colpisce nel leggere le storie che queste donne raccontano quanto siano colpite esse stesse. Da cosa? Dalla nostra ignoranza. Dei loro paesi d’origine innanzitutto. Anche di quelli europei. Come dice una di loro: “Quando sono arrivata qui mi sono resa conto che a quell’epoca gli italiani avevano perfino difficoltà a riconoscere come europei i paesi dell’est, cioè l’Europa era l’Europa occidentale! E tuttora non è molto cambiato” (p. 63).

unpostonelmondo

Il quarto appuntamento on line della rassegna “Non è solo il silenzio”, l’evento on line di Exosphere di Reggio Emilia, è dedicato alla saggistica con il libro di “Un posto nel mondo – Donne migranti e pratica di scrittura” di Simona Miceli  che dialogherà con Gabriella Gianfelici

L’appuntamento è per sabato 22 maggio, dalle ore 17.30 alle ore18.30 sulla piattaforma Meet di Google.

Accanto all’ospite d’onore, ci saranno Christiana de Caldas Brito, Pina Piccolo, Rahma Nur. Aprirà l’incontro Simonetta Sambiase di Exosphere e saluterà i partecipanti Roberta Pavarini.

Il link dell’incontro:

https://meet.google.com/vsm-zwoj-uci

Per informazioni, richieste, suggerimenti, scrivete a:

gabriellagianfelici@gmail.com

golemf@virgilio.it
casepopolari@gmail.com

In rete ci troverete su Fb e Twitter.

Vi attendiamo.

Dalle lettere di Antonia Pozzi: Alla mamma.

dalla prefazione del libro L’ANTONIA, in uscita per Ponte alle Grazie:
“Ha esplorato il mondo con desiderio ardente, ha esplorato sé stessa attraverso la fotografia e la poesia. Ha amato con sovrabbondanza e inesperienza, come i suoi pochi anni le hanno consigliato. La montagna è sempre stata la sua maestra e il suo rifugio. Si chiama Antonia Pozzi.

Antonia Pozzi

“Cara Mamma,
finalmente trovo un momento per scriverti con calma. È mattina: una bellissima mattina di sole, con delle nuvole leggere e bianche a mezza costa dei ghiacciai. Io ho portato fuori dalla tenda uno sgabellino e sono qui che ti scrivo seduta sull’erba. L’Elvira è andata a fare una passeggiata breve e tornerà prima di mezzogiorno: io ho preferito restare qui a lavarmi un po’ bene e a prendere un po’ di sole sul prato, per mettermi a posto le ossa dopo la gita di ieri. Non mi sono stancata; però era lunghetta; niente affatto difficile, ma in una cerchia di cime insuperabile. Ho preso diverse fotografie che dovrebbero essere delle meraviglie. Adesso sono letteralmente gocciolante di vaschina e di lanolina: bisogna che stia molto attenta, perché qui c’è il rischio di prendersi delle scottature in grande. La vita sono la tenda, una volta che ci si è sistemati e organizzati, è comodissima e, malgrado l’altezza, si dorme. Il mio pigiama è l’ideale e anche l’impermeabile mi serve a diversi usi. Ieri, appena tornata dalla gita, ho fatto un lussuosissimo the, col pentolino “méta”, che va benissimo. Il vino che passa il convento è abbastanza buono: e poi, davanti all’attendamento, ci sono delle baite dove si trova un latte straordinario. Di gite importanti credo che ne farò ancora una o due al massimo. Per il resto del tempo resterò qui, a gironzolare per le rive di tutti questi torrenti che scendono da ogni parte dei ghiacciai e che fanno un rumore così continuo e gradito. E voi, che fate? Come è andato il vostro ritorno a Pasturo? Il papà, la zia Ida, la zia Luisa, l’Antonita e pollastrini, il Rudi, i “cucurini”, che cosa fanno? (Scusa: mi sono dimenticata il Luigi, il Pierino e il Bobi). Baciami tanto tanto tutti: di’ che mi scusino, se non scrivo a ciascuno, ma qui è tanto difficile trovare il momento buono. Tu, sta su allegra, non fare “quit-quit” e abbiti il mio abbraccio strettissimo”.

La tua Antonia

Dalle Lettere – Alla mamma – Breil, 25 luglio 1933