
Pubblicità
Vi aspettiamo.
https://viadellebelledonne.wordpress.com/
L’otto settembre è “il compleanno” di Ludovico Ariosto, una ricorrenza che da parecchi anni viene svolta nel suo ricordo alla casa materna di Reggio Emilia, il piccolo gioiello del Mauriziano, sulla via Emilia che da Reggio porta verso Modena. Anche quest’anno si riaprono le porte del monumento storico per una giornata dedicata all’opera del poeta Cinquecentesco per “Se voi mi date orecchio” organizzata dal Comune reggiano con l’associazione Eutopia. Parte del leone la farà la poesia che si interrogherà anche sull’eredità lasciata dal creatore dell’Orlando furioso, costruzione elaboratissima di metrica e trama fantastica che ha attraversato fin da subito la sua epoca per le rime, i personaggi e le intrecciate vicende che lo costruiscono. L’Orlando Furioso è un’opera corale, lo si legge immediatamente, ed è ricchissima di personaggi femminili. Elencarle tutte, fra principali e secondarie, da luogo ad una lista lunga e appena capace di contenere le storie che esse portano entrando ed uscendo continuamente dalla trama della storia. Angelica, la regina del Catai, bellissima fra le belle e straordinariamente rivoltosa, è il personaggio che maggiormente nei secoli ha catturato attenzione. La sua creazione è un lascito dell’Orlando innamorato del Boiardo che Ariosto ha riscritto e l’ha resa motore del muoversi dell’azione nei primi capitoli per lasciarla poi nei capitoli centrali ad avventure straordinarie. E alla fine farla aprire ad un amore inimmaginabile con il saraceno Medoro. Angelica ha momenti di alta lirica (come nel suo canto alla fortuna contraria o le sue lamentazioni all’isola di Ebuda) e l’occhio critico ha su di lei preso interpretazioni a seconda della parte della storia che si vuol fare emergere. Dall’anticonvenzionalità del suo fuggire impavido e solitario, all’elogio sulla bellezza femminile giovanile e capricciosa a cui cade ogni uomo che ne viene toccato; fino alla definizione protofemminista del suo carattere che sceglie un uomo dalla personalità più mite come compagno per non avere dominio sulla sua vita. In mezzo a queste note, che ne propongono forse una modulazione estremamente voltata allo stereotipo di cultura maschilista (la bella bellissima giovane capricciosa in fuga dal desiderio maschile) è mancante la parte “dolorosa” di Angelica, straniera su una terra continuamente in guerra, che cerca di tornare alla propria casa e ai propri affetti, che si interroga sul caos del mondo nella lamentazione alla fortuna contraria e che non sceglie di innamorarsi a caso di Medoro, ma trova nel cuore la strada della fiamma verso uno di pochi personaggi che si mostra di carne ed ossa, ferito e indifeso in una strage di armi e armate. Medoro è bellissimo come Angelica ed è straniero in terra straniera come lei. Sono due personaggi fuori dal coro di paladini (e paladine bradamantine) che si scelgono a vicenda.
Lettura a parte dai saggi critici su di lei e sull’intera opera del Furioso, non è difficile immaginare come l’incanto del suo personaggio abbia catturato molte riscritture già nell’immediato della sua diffusione, come nel testo barocco dell’Angelica in Ebuda di Gabriello Chiabrera. Interessante anche il breve saggio su Angelica di Carolina Pernigo reperibile on line che elenca la letteratura prodotta su di lei negli ultimi centocinquant’anni, citando fra l’altro la saga di Angélique dei coniugi Serge e Anne Golon, il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Small Word di David Lodge, Angelica’s Grotto di Russell Hoban, Il sorriso di Angelica (2010) di Andrea Camilleri e proponendo anche altri testi come Affari d’amore (2012) di Patrizia Violi e Revolver di Isabella Santacroce.
frammenti da L’Angelico abbacinare
di Simonetta Sambiase
MEDORO
I.
Mi chiamano la rara, il premio, la fuggitiva, la dura, la fredda, la colonna di alabastro, la senza calore, la sdegnosa, Diana in scena, Venere chiedente, la speranzosa.
Mi han chiamata la custode avventata del fiore virginale, la sospirante, la gemente, la cavallerizza, l’avvampata di dispetto e d’ira, la sfuggente, la triste, la supplicante, la debole e la gagliarda, l’esule che levar terra vorria, la gentile, la paurosa, la timida, la piangente, la sconsolata, la tormentata.
Dicono di me che son l’esule, la vagabonda, la pudica impudica, la disperata, l’afflitta e la sbigottita, la molestata, la sdegnosetta, la tinta di rossore, la narcotizzata, la rapita, la sfortunata, l’oppressa, l’incatenata, la prigioniera in roccaforte, l’ignudata, la messa in catena su una fredda pietra, la mezza morta di paura, la supplicante, la mortificata.
Hanno detto di me che son la stupita, l’allegra, l’incredula, la celata, la nascosta, la mimetizzata, l’errante, la solitaria, l’incostante, la beffarda, la sfacciata, la canzonatrice, la stanca, l’invisibile, la solitaria, la turbata, la dolente, la malcontenta, la nascosta.
Ma io di me, ora che ho ti ho incontrato, ti dico che sono la pietosa, l’insolitamente ferma, la tenera, la molle, la samaritana, l’infermiera, la sanatrice, l’intenerita e alla fine di tutti gli aggettivi che mi hanno graffiato addosso, l’innamorata.
SFARZOSI INDUMENTI DI PAROLE TESE
ADEENA KARASICK
Accedere alla parola di Adeena Karasick è un’esperienza quasi percussiva. La scrittura della poeta canadese vive in un’aggiunzione continua di ossimori e metafore innestate nel linguaggio di una cultura sospesa fra la massificazione culturale del quotidiano e le evocazioni di grandi passati sacri e pagani. Un lavoro poetico che sul foglio implode all’interno del sistema simbolico ed evocativo della parole e del soggetto. Che lo destruttura e lo richiama in echi di vortici e di personaggi e sfondi, dove la voce è possente ed è unica guida nel caos di (questo) mondo che ingloba, graffia, disorienta, scorpora ed infine inghiotte ogni cosa, ogni sensazione, ogni sentimento tra l’inverosimile e il reale.
E’ una tecnica di surplus della parola e del personaggio che da identità ai suoi componimenti. Spoken word e inchiostro: la voce è dappertutto energia, fra le pagine scritte, nelle rivisitazioni di immagini e di frame, perfino nei micro video dei cellulari: bisogna restare sintonizzati nel mondo e decifrarlo e ricomporlo, usandone tutti i frammenti, in un gioco continuo di rimandi di lingue sciolte da frontiere e linguaggi metrici, i cui attori vengono presi dalla comunicazione mass mediale come dalle alte pagine della cultura storica fra Mediterraneo ed Occidente. Il soggetto è icona e viene usata come indagine; un’architettura interpretativa di extratesto e di gioco lessico (“ABBA is rethinking their scansion” e il gruppo musicale pop svedese è passato alla più classica delle formule stilnoviane) . Icone sono Salomé e Calypso che invitano e imbrigliano con una “lingua stuzzicata da sfrontati pasti\territorio di appannato slang catapultato\nell’errore scritto\ compare ”. Icone sono Iehôhānān, Ioannes Baptista, Johnny Angel, Johnny be Good , sempre lo stesso uomo in cui “immergersi, e può essere peccato” o il distratto Ulisse che sta ascoltando la canzone delle Sirene su Spotify. L’imperativo è spesso il modo preferito. La poeta lo usa come verbo diretto dei pensieri e delle azioni (e per certa filosofia i pensieri sono azioni ), chiasmi e paronomasie, eros e isteria, sacro e ironia, e su tutti loro la voce è femmina e ammaliante e non ferma mai il proprio canto. Un’altra via dell’ispirazione è l’indagine sui testi del sacro ebraico. La poesia può confrontarsi con il mistero del sacro e darne un nuovo segno di riconoscimento . La Bibbia, la Kabbalah, per la Karasick sono distanze da slegare, fra labirinti incantati e fari che attraversano le passioni, le grandezze e le cadute dei propri quotidiani, così simili al mito, così difficili da decifrarsi, così necessariamente destrutturabili con il suo linguaggio per tracce e flussi. Ne “La Danza dei sette” il numero sette da immediato riconoscimento di sacralità con l’elenco dei suoi significanti mistici, eppure è nella danza di Salomè che esso viene chiamato a mostrarsi in un’esposizione carica di equivalenze del reale . I “Trentatre nomi di Dio “della Yourcenar erano nella superficie della crosta terrestre, erano essoterici ,”La danza del sette” è esoterica, nascosta nelle cose. Non ci sono vie facili e la parola non offre consolazione ma investe con i sensi e la mente. “Vieni e mitizzami\Mio libro\Esagerata baraonda”. Non c’è via di consolazione ma un legame magnetico ed erotico, un tumulto “emporio” che fa di ogni poesia polifonia e azzardo.
SALOME’ DONNA VALOROSA
Il lavoro di “Salomè Donna valorosa” è stato presentato al Tribeca Festiva di New York ed è ora in itinere. Non è la prima volta che la tradizione biblica viene attraversata dalla poesia femminile. Si ricordi ad esempio che Else Lasker-Schüler, nelle sue “Ballate ebraiche” del 1913, dedica uno dei suoi più alti componimenti alla moabita Ruth (“C’è un angelo alla fonte\della mia patria: canta\il canto del mio amore\la canzone di Ruth”) .Ritornando al personaggio di Salomè, esso ha avuto una buona fortuna critica a partire però solo da metà Ottocento. Vale la pena ricordare che la figura di Salomè è una voce minore nel racconto evangelico, appena abbozzata nei racconti di Matteo e Marco, dove non ne viene nemmeno svelato il suo nome. Di lei si apprende che è la giovane figlia di Erodiade, quest’ultima bersaglio delle invettive del profeta Giovanni Battista per la sua condotta licenziosa e il suo matrimonio quasi incestuoso con Erode Antipa, figlio del suo primo marito. La giovane Salomè danza davanti ad Erode e questo vuole compensarne la bravura. La ragazza chiede allora consiglio alla madre che senza esitare si fa consegnare la testa di colui che sta buttando parole di fuoco su di lei presso il popolo. Da sottolineare che nel testo sacro non c’è nemmeno traccia del tipo di danza che eseguiva la giovinetta. Ma: “Attraverso i secoli, la figura di questa danzatrice adolescente, uno strumento innocente nelle mani di sua madre Erodias, subisce una graduale trasformazione verso una figura di innocenza perduta che si estende fino all’essere la responsabile della morte del Battista. Inoltre, il più disturbante aspetto della storia dal Vangelo alle sue successive versioni, è il potere seduttivo della danza. Forse è una delle arti più antiche, espressione di armonia e vitalità fra l’Uomo e il Cosmo nell’antichità pagana, espressione di peccato in quella cristiana”(AA.VV Depicting Desire. Gender, Sexuality and the Family in Nineteenth Century Europe, 2005).
Salomé arriva fino al Medio Evo, quando nella popolare celebrazione della festa di san Giovanni Battista, si arricchisce la storia biblica con nuovi elementi, così da esaltare la figura del profeta inventando terribili punizioni per la peccatrice. Fino al ‘Seicento, nelle arti visive, la figura di Salomè è associata alla testa del Battista decapitato. Le decollazioni sono molto frequenti nell’iconografia italiana dove, oltre Salomè e Giovanni, non si contano le Giuditte che mostrano la testa del loro Oloferne. C’è chi ha visto un simbolo di castrazione nella decollazione di questo o quel personaggio, lo teniamo in mente per una possibile interpretazione psicanalitica. Andando oltre, si arriva al 1841. In un poemetto satirico in quartine, lo scrittore tedesco Heinrich Heine,” Atta Troll”,fa riapparire Salomè indicandola come incarnazione pre-decadente di famme fatale. “Una trasformazione notevole: non è più l’evangelica fanciulla docile vittima dell’intraprendente Erodiade ma addirittura una Salomè, nel nome e nella sostanza, e vi si introduce anche la passione d’amore fra la danzatrice e il Battista, forse per l’esigenza di fondere la qualità delle due figure femminili”(Nicoletta Campanella, Salomè. Quel che resta di una principessa, 2001).
Dalla fortuna di questo testo comincia la trasformazione simbolica della Salomè contemporanea. Vari letterati e artisti visivi mettono mano al mito e aggiungono nuovi elementi. Gustave Flubert (Herodias, 1877) “Introduce la mitica Salomè decadente, emblema di bellezza femminile dannata, lasciva e terrificante ancella di Eros e Thanatos. Gustave Moreau produce una serie pittorica pervasa da un orientalismo denso fino all’eccesso di decorativismo simbolico. Oscar Wilde nel 1893 la trasforma in un’icona scandalo, la Virago, l’aspetto oscuro e sanguinoso che per tradizione (questa nuova) Salomè ispira, la Ninfa, la Virago” (Eleonora Bairati, Salomé immagini di un mito). Da Wilde in poi Salomè è ormai scandalo nello scandalo, peccato e lussuria, eccetera eccetera. Meno citata in letteratura nell’età post-moderna, è invece più presente nelle rappresentazioni teatrali, con testi che però non si discostano molto dalle presentazioni del passato.
La Salomè di Karasick non è una giovane oscura, è una donna valorosa. E’ raffinata, ha vissuto molta vita e non vuole lasciare condurre il gioco, o meglio la danza, a nessun altro che non sia lei. Come\Come with me\come crowded\Come holy\ (Vieni\Vieni con me\Vieni a folla\ Vieni santo) Le anafore che aprono la lunga canzone di Salomè pulsano di vita, sono intessute di eros e continueranno il loro cammino nella vertiginosa scrittura della poeta canadese, che trasforma la storia in una visione femminista “una prospettiva ebraica e tradotta della sua storia non solo come un racconto di violenza e desidero ma come un capro espiatorio e le nostre preoccupazioni contemporanee sull’erotismo e sulle trasgressioni estetiche, che occupano uno spazio fra l’estraneità e il desiderio” (Adeena Karasick). Quando Salomé incontra il suo Iokhanan gli chiede di non abbassare lo sguardo “Guardami, ti ho baciato la bocca, oh Iokhanan, ho baciato il tuo mito. E sulle tue labbra, il sapore dell’audacia, il sapore dell’amore, l’amore dicono, come merletto disseminato. Ho baciato il tuo mito”. Mai una sola parola silenziosa, mai un passo indietro. “Encore. Encore, Encore. Encore. Encore. D’accord”.
Simonetta Sambiase
*Adeena Karasick è attualmente in Emilia Romagna per un tour di conferenze e poesie. Traducono le sue poesie per le letture Pina Piccolo e Serena Piccoli.
La poeta sarà ospite mercoledì 29 giugno dall‘associazione Exosphere e dal circolo Arci Medardo Rosso di Montecavolo, in collaborazione con il blog culturale de La macchina sognante.
ADEENA KARASICK
Adeena Karasick è poeta, teorica culturale e autrice di 7 libri di poesia e teoria poetica che
hanno ottenuto grandi elogi da parte della critica . Nata in Canada da una famiglia di emigrati
russi ebrei e residente a New York, è’ attualmente Professore di Teoria della Comunicazione e
dei Media alla Fordham University. La sua scrittura è stata definita “elettricità nella lingua”
capace di eseguire ”una fertilizzazione trasversale tra motti di spirito e conoscenza, teatro e
teoria”. La sua poetica è contraddistinta da un’estetica urbana, ebrea e femminista che sfida
costantemente le modalità normativa di significazione e confonde i confini tra cultura
popolare e discorso accademico. Karasick ha tenuto conferenze e performance in tutto il
mondo, partecipando a numerosissimi festival, simposi, e colloqui telepoetici. Pubblica
regolarmente articoli, recensioni, e dialoghi su poesia contemporanea, e teoria
poetica/culturale e semiotica. Ha prodotto videopoesie e registrazioni delle sue opere che
mettono in luce la radicalità della sua performance.
Vincitrice della MPS Mobile Aaward è conosciuta come “la poeta del cellulare” perché il suo
lavoro è disponibile su dispositivi mobili quali cellulari e smart-phones.
(traduzione di Pina Piccolo)
PIGAL POESIE
di Claudio Bedocchi
Torna Pigal Poèsie. Dopo il successo di febbraio torna, mercoledì 23 marzo alle 20,30, al circolo Pigal, una serata che vedrà altri 8 poeti portare le proprie opere. Claudio Bedocchi, Gino Belli, Giorgio Bonacini, Marcello Casarini, Nazario D’Amato, Gabriella Gianfelici, Franco Insalaco e Sabrina Spinella rappresentano un mix di voci che vuole essere un caleidoscopio di approcci alla poesia e di storie per affascinare il pubblico. Se abbiamo voci importanti e già affermate attraverso il lavoro con la rivista Anterem di Giorgio Bonacini o come Gabriella Gianfelici Co-fondatrice dell’Ass.ne Donna e Poesia di Roma si occupa del Premio omonimo giunto alla XXIV ed. e a Reggio nel 2014 fonda, insieme a Simonetta Sambiase e Federica Galetto, l’Ass.ne Culturale Exoxphere, PoesiArtEventi abbiamo anche l’occasione di presentare per la prima volta a Reggio i testi poetici di Franco Insalaco. Insalaco è più conosciuto nella sua veste di filosofo che collabora con l’associazione di neuroscienze Anemos di Reggio Emilia.Una rarità sarà incontrare Sabrina Spinella normalmente abbastanza reticente ad affrontare il pubblico con la sua persona oltre che con i suoi versi. Questi alcuni degli ospiti della serata senza nulla togliere agli altri autori. Il pubblico sarà accolto da un buffet offerto dal circolo e il percorso poetico sarà accompagnato da spazi legati al suono rock alternativo di gruppi reggiani. Il percorso musicale sarà curato da Locca, in arte Andrea Locatelli. A presentare la serata il giornalista Gianfranco Parmigiani.
Due autori dalle voci diverse come due generazioni. Un filo comune c’è sempre per intrecciarsi. Buona lettura.
***
Mamma…
Cantami la ninnananna
Ho paura mamma
Prendimi tra le tue braccia.
Papà dove andiamo?
Non voglio lasciare la mia casa
Andiamo a trovare tua zia.
Mamma…
Ho paura
Non avere paura
piccolo mio.
Mamma, voglio la mia culla
Anche questa barca dondola come la tua culla
Ora fai la ninna
O mia piccola stella.
Mamma ho freddo
Mamma… Mamma… Mamm…(a).
Shh…
Sta dormendo
Piccola stella splendente
Ora non ha nulla da temere
Ora non sente più freddo
Ora non cerca le affettuose braccia di sua madre
Ora non si sveglierà piangendo
alle urla dei suoi fratelli
mentre giocano a pallone.
Ora però anche loro stanno dormendo
Quando si sveglieranno, forse
Anche piccola stella farà parte della piccola squadra
e giocherà da portiere.
Però, ora stanno dormendo.
(c) IMRAN LODATO
Il mio nome è Imran Lodato. Sono nato in Pakistan, ventiquattro anni fa. Ho pubblicato il mio primo libro Opera Nuova, contiene poesie e racconti brevi, presso la casa editrice Youcanprint. Non mi definirei né un poeta né uno scrittore, ma un artista. Avrei girato un film se avessi avuto una macchina da presa…
Quando Caino mi chiamç
io andai
quando mi colpì
morii con la sorpresa negli occhi
e caddi sgomento
non lo posso perdonare
non lo posso perdonare
ma se avessi ascoltato i suoi silenzi
ma se avessi ascoltato i suoi lamenti
ma se avessi ascoltato i suoi tormenti
e l’avessi chiamato al mio altare…
quando mio fratello mi chiamò
io andai
quando mi colpì
pensai ai doni portati all’altare
e caddi sgomento
non lo posso perdonare
non lo posso graziare
ma se avessi ascoltato i suoi silenzi
… i suoi lamenti
… i suoi tormenti
e l’avessi chiamato al mio banchetto…
Oggi non malediresti il fratello
e una terra esangue
che sembra chiedere il suo sangue
non più sudore e canti
non più genio e preghiera
ancora piramidi
ancora piramidi
da lavare nel sangue.
(da Jeux sans frontières )
CLAUDIO BEDOCCHI
Parafrasando il suo ultimo libro “Jeux sans frontières” possiamo presentarlo come il poeta senza frontiere: Claudio è infaticabile a far sentire l’arte di casa. Testi poetici e teatrali, fotografia, associazioni culturali: non lo troverete mai in un momento di riposo, un caleidoscopio di poesia e arte che continua da anni a produrre cultura sul territorio reggiano.
Io ti cercavo fra i cadaveri
tutte le mattine
proprio vicino a casa nostra
ogni notte morta l’ombra si colma di corpi
sotto il ponte
proprio vicino a casa nostra
mi si diceva un uomo è qualcosa che le guardie portano via
e non ritrovano
Io ti cercavo fra i cadaveri tutte le mattine
Assia Djebar
Poesia Festival 2015
17.30 | Maranello
Biblioteca MABIC, Via Vittorio Veneto 5
Poesia è intervento
ore 18.10
La pace è in fiamme
Letture a più voci tratte da un progetto promosso dall’Associazione Exosphere in collaborazione con Eutopia – Rigenerazioni Territoriali e con il patrocinio del Comune di Reggio Emilia. Il tema della Pace come elemento di vita raccontato attraverso le letture di Simonetta Sambiase, Gabriella Gianfelici, Eleonora Boschi, Giovanna Gentilini, Claudio Bedocchi, Pina Piccolo, Giorgio Bonacini, Gassid Mohammed e Imran Lodato.
riferimenti in rete
L’otto settembre riapre per un giorno il Mauriziano,
a Reggio Emilia,
in onore di Ludovico Ariosto
(Reggio Emilia 8 settembre 1474 – Ferrara 6 luglio 1533).
(due stralci dalla presentazione )
LA FORMA DORMIENTE
…..
Qui, nei luoghi dell’Ariosto, torna a dimorare la poesia. Si torna nelle sale, a coniugare i due verbi del leggere e dello scrivere in modi passati e futuri ed imperativi, si ritorna alla poesia costante, militante, uno spazio d’ossimoro instabile e stabile costruito sulla scrittura ma ancor di più sulla lettura.
… Stasera la lettura di dodici autori\autrici, ricettori ed emittenti assieme, conciliatori della propria narrazione interiore insieme alla costruzione collettiva della divulgazione poetica, dodici autori e autrici immersi in lavori di associazioni, blog, contaminazioni di musica e poesia, riviste culturali cartacee o digitali, dove vive il nuovo e il lontano della poesia, il tradotto e il classico, la ricerca e il metro, segnando in verde (mai in rosso) la costruzione della cultura sulla via Emilia. In estensione di passaggi critici non logici ma emotivi, la poesia come esistenza\presenza di valori altri, al di là del “vivere modernamente futile” (e perché no?) “a basso costo emozionale” così ben scritto in quel “spegnete il cervello” stampato sulla confezione dei wafer della Nestlè che troviamo oggi e ora nel supermercato, destinato ai “così tanti stressati dalla vita moderna” o peggio ancora alla ricerca di persuasione dei nostri figli. In direzione contraria, insieme al buon senso, c’è l’arte. E c’è l’emozione di una\due\tanta arte poetica, la casa comune e pubblica del cervello acceso, pensante di realtà e del rimosso. Segnali e forma di vita umana mai in unica voce, che dal privato entrano nel pubblico, in eco collettivo difficilmente commerciabile come modello esportabile a prezzo contenuto. Parte grande della poesia diventa allora resistenza e risorsa dello spirito, l’occhio dormiente (Jolanda Insana) che ancora sogna “la vita nella vita“, lo “stupore in stupore”, quel ritrovarsi negli stessi sentimenti dei versi di ogni parte del mondo e di essi nutrirsi, quel giro del mondo di parole, di cartigli di suoni alfabetici e partiture per collettive scritture, raccontando anche la storia che ci circonda, ma con lo sguardo di chi vive nell’ultima regione vergine del mondo. L’occhio dormiente che si sveglia e dona una vita in più.
martedì 2 giugno a Reggio Emilia
LA PACE E’ IN FIAMME
Poesie e spunti critici sulla pace come quinto elemento di vita
a cura di
Federica Galetto, Gabriella Gianfelici, Simonetta Sambiase
con la collaborazione di
Antonio Canovi, geostorico, dell’associazione Eutopia- Rigenerazioni territoriali
Claudio Bedocchi Pina Piccolo, Gassid Mohammed,
Eleonora Boschi, Caterina Franchetta ,
Serena Piccoli alle letture
con la partecipazione di Sergio Subazzoli
ed i testi dei poeti
dall’introduzione di La pace è il fiamme
…Ma la Pace è in fiamme è un passo oltre e lontano dalla guerra, perché non è essa l’indagine, ma è quel concetto astratto di quattro parole che necessita ed incrocia gli elementi della vita per permettere a tutti di “viverla”. Vivere in pace. Lasciare vivere in pace ed essere lasciati vivere (in pace), una conquista d’indipendenza dalle pulsazioni marziali degli esseri umani, come l’odio e tutti i suoi indirizzi più o meno nascosti all’interno dello spirito umano\sociale.
dal CANTO DEL CAOS
di Pina Piccolo
Nel duecento dopo Darwin
quando gli angeli del caos
inseminati nello sfacelo del soldo
s’alleano con gli atomi di carbonio ribelli
e il DNA antico in preda alla follia
piomba nel tranello dei finti estrogeni
dimentico dello spartito
sinfonico del corpo
e cullato nell’oblio
si riproduce a iosa
e la fame divora
i muscoli del bimbo
mentre dalla corda
di Monsanto
pende il corpo del padre
contadino
e la traiettoria del proiettile
denso di metalli esplosivi ed inerti
incontra il danno collaterale
a migliaia
ed esterrefatta
in esso s’annida e scoppia
e ride la iena
dell’esperimento
e a milioni languiscono
nelle strade
teste di belle
addormentate per sempre
affiorano dalle macerie
invece dei crochi gialli
di primavere forieri ….
da A VIYAN
di Eleonora Boschi
….. Al disastro per dare voce al pianto
di un popolo dimenticato
Tu eri un’eco Viyan
Ma che dico, tu sei un’eco di libertà
fra le macerie di kobané
C’è un tempo nel quale bisogna affrontare la morte e ci sono persone rare che la sanno sorvolare
Come vento che non si lascia imbrigliare
La tua voce, Viyan, continua a cantare…
da ESCONO LE ANIME
di Gabriella Gianfelici
…..Qualcosa piange nell’aria
i suoni violenti
disegnano l’alba.
Si dilatano i corpi
ingoiando battiti
allenta il respiro
la sua corsa.
“La vita ci ha dimenticati”.
da L’ULTIMA CENA
…e nella nostra strada
a venti metri da casa mia
attraverso la vetrina del forno
ballavano le fiamme
e con l’odore del sole l’odore del pane
si diffondeva nella strada e nelle case
il sole ritirava le sue reti dal nostro quartiere
e la sera spargeva il buio con delicatezza nelle vie
dal minareto gli echi del muazzin riecheggiavano come la serenità
negli angoli delle case
il mio vicino … a dieci metri da casa mia a dieci minuti dalla cena
tornava con un sacchetto di pane…
da ALLA FINE DELLE COLPE
di Simonetta Sambiase
Nessuno ha colpa di nulla, è un sollievo
l’odore dell’assoluzione dei peccati nei venti
si pensa lontano dalla guerra nelle fabbriche
continuo lavoro, la perfezione ordinata
il ciclo continuo di pesticidi di cavallette umane
bombe ammazza bambini altrui che luccicano
fra lo sciopero dei sindacati
e gli incubi dei barconi che sbarcano
si andrà al santo lavoro anche stamani…
da DECADE L’EREMO DELLA LUCE
di Federica Galetto
…. Rombi che s’alzano nel cielo
come assalti
e pianti sbalorditi nella polvere
Di quei salti alle fosse s’ ode il gemito
Letto dell’avventura macabra
nell’orrore del disumano contrito
Se fosse alba ancora vedremmo un porto
una sembianza di coltre bianca che prega
fra digressioni d’ affamate locuste
ingozzate di colombe squarciate
carcasse ammansite di fumo che sale
ascendendo
verso un dio nascosto e sordo
che prende per se le lacrime
e ne fa spari
nella notte senza fine….
QUANTO SANGUE ANCORA
di Claudio Bedocchi
Quanto sangue ancora
O forse diremo
Quale sangue ancora
In quell’ombra di mente
Che s’allarga e s’allunga
In tentazioni e privazioni
Quale sangue allora
Non potendo fermare
Le nostre ombre dinamiche
Nel resistere a esistere
da TRA GUERRA E GUERRA
di Caterina Franchetta
…..
Ma la pace è forte:
ha compassione della guerra.
Grida pace, pace, pace
una cristiana – pecora al macello
E pace, pace ripete il coro della folla
ma scorre il sangue rosso del fratello
Dicono pace, le madri dei bambini,
– non fu la guerra giocare a nascondino –
vedono fra le macerie armi giocattolino.
Pace salata, le polverose lacrime
di chi ha perso tutto, anche se stesso.