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Esiste una vivace discussione su come si debbano collocare i contenuti civili o sociali dentro l’ispirazione poetica. Può e deve il prodotto lirico esprimere un nuovo antagonismo sociale e lanciare un grido di allarme convincente all’umanità sfruttata? E’ in grado di cogliere la mutazione radicale del panorama sociale e del mondo del lavoro?
dalla prefazione di La nostra classe sepolta, antologia dedicata ai mondi del lavoro, curata da Valeria Raimondi
Domenica 17 novembre, alle ore 10.30,
la curatrice della raccolta “La nostra classe sepolta”, Valeria Raimondi, insieme alla prefatrice Eliana Como, dialogherà insieme al pubblico di Reggio Emilia, durante l’evento di ” Le lamiere del capannone dipinte di blu”, presso la sala civica della Cooperativa case popolari di Coviolo e Mancasale di via Selo; l’evento è organizzato dall’associazione Exosphere.
dalla raccolta inedita “Copia di breve taccuino di perdono”
di Met (Simonetta) Sambiase
Il perdono espia le pareti
scioglie i passi, nei battiti,
uno dietro all’altro il percorso delle cose
ci riconosciamo
forma
stato
instabili, circondati
come una fiamma insondabile,
non si sa spiegare
eppure si desidera
portarsi in dote a qualcun altro
raccontarsi, seconda età
terzo stato, nomi di miele nella bocca.
La poesia inedita “Il percorso delle cose” è stata scelta dal professor Alberto Bertoni per la sua pagina “La bottega della poesia” sull’edizione bolognese di La Repubblica. Una bella emozione. E un onore.
Insieme al testo citato, nella disamina critica del professor Bertoni, sono presentati testi di Luca Ariano, Stefano Massari e Marzia Rei. Filo conduttore dei versi, “la dolorosa frattura tra noi e il mondo”. Scrive Bertoni: “Dominante di questo appuntamento della Bottega è il sentimento di frattura fra persona e mondo, parola e cosa: un tema che figura a buon diritto fra i più diffusi di tutta la poesia moderna, a partire dalla rivoluzione romantica fino a oggi. Una volta di più, stili, lingue poetiche ed esperienze che innervano questi testi inediti si dispongono in un’estrema e necessaria varietà, ma tutti trasmettono un notevole pathos”.
La lettura continua poi sulle singole espressioni poetiche. Cito la prima, che mi appartiene.
“Met Sambiase, per esempio, esprime attraverso un ritmo franto la difficoltà e la contraddizione che sono innate a ogni umano tentativo di definire un percorso delle cose in relazione al desidero e alla ricerca inesauribili di una cognizione dialogica del mondo e duna ricerca tanto inesauribile quanto obbligata (anche per ogni poesia che si rispetti) dell’Alto.
Il link dell’articolo è destinato agli abbonati del quotidiano. Per chi ama la tradizione, le quattro poesie si trovano nel quotidiano cartaceo nelle edicole, con l’edizione giornaliera.
Ricordi Adele la sera del tuo compleanno com’eri bella ed elegante? Proprio come piaceva a te: curata, vestita di un abitino giapponese verde smeraldo con fiori arancioni, le scarpe nere col solito tacco….vanitosa, “sciantosa”, frizzante.
I tuoi occhi verdi brillavano.
Sul tuo terrazzo la vista era meravigliosa: il Gianicolo, Trastevere in lontananza, il Tevere, i ponti e il tuo discorrere fluido, colto e sempre ironico.
Ottant’anni compivi piccola fata, e ridevi a rammentare quando a Roma negli anni ’50 per strada ti sussurravano: “a fata, piccola fata!”.
E non capivi ma presto hai compreso: bella ragazza, piccola ma bella!Andavano di pari passo i tuoi interessi, la tua professione e la tua vanità.
A volte non veniva compresa, a volte sembrava troppo. Invece era un tuo modo, un tuo essere piena di colori, di sciarpe, di orecchini vistosi, di enormi collane e deliziosi cappellini.
Hai insegnato che conta ben altro: il tuo passo svelto quando inseguivi operai in sciopero, il tuo andare a Reggio Calabria durante la rivolta, prendere l’aereo per assistere al matrimonio di Grace Kelly e il Principe Ranieri.
Sei stata tutto questo e per tutte noi ha tenuto coraggio, tenacia e grandezza. E mentre ti penso e scrivo, sto qui a vederti con gli occhi e sentire la tua voce che mi racconta ancora di questa o quella storia mentre metto ordine fra i tuoi libri e i tuoi appunti e mi perdo nei tuoi ricordi. Come allora oggi, grazie.
Gabriella Gianfelici
Domenica 5 marzo, a Reggio Emilia, nell’ambito della rassegna Trecentosessantacinque giorni donna del Comune di Reggio Emilia, le associazioni Exosphere e Eutopia-Rigenerazioni Territoriali ricordano Adele Cambria, una delle grandi madri del giornalismo e della testimonianza femminista del nostro Paese, insieme a Oriana Fallaci e Camilla Cederna.
Nata a Reggio Calabria , classe 1931, voce ribelle, giornalista, scrittrice, autrice di teatro ed anche di televisione, perfino attrice in alcuni film di Pier Paolo Pasolini, è stata anche cofondatrice di Rivolta Femminile e la piccola casa editrice ad esso collegata e di Noi Donne. Nel 1972, presta la sua firma al giornale di Lotta Continua, diretto da Adriano Sofri, che doveva però avvalersi di direttori responsabili iscritti all’Albo professionale, dimettendosi all’indomani dell’uccisione del commissario Luigi Calabresi, per forte dissenso dell’editoriale comparso in prima pagina. Uno dei suoi ultimi libri è l’autobiografia “Nove dimissioni e mezzo – l’Italia vista da una cronista ribelle” in cui scorrono “mezzo secolo di cronaca, di personaggi, di processi e di spettacolo, e d’impegno quotidiano. (S. Mazzocchi). Adele Cambria è scomparsa a Roma, la città dove viveva dal 1956 il 5 novembre dello scorso anno.
I suoi libri saranno custoditi da Archivia, la biblioteca centro di documentazione della Casa delle Donne di Roma, per volontà della scrittrice. Una piccola parte dei suoi libri di poesia, donati a Gabriella Gianfelici, la curatrice del suo archivio personale, sono stati portati al fondo di poesia Exosphere di via Selo a Reggio Emilia.
A metà tra testo biografico e testo storico, il libro Camicette Bianche di Ester Rizzo nasce dall’esigenza dell’autrice di ridare memoria e posto storico alle vittime dell’incendio del Triangle Waist Company del 1911. La tragedia del Triangle Waist, il 25 marzo 1911 segna il punto di non ritorno del capitalismo patriarcale delle fabbriche americane, quando bruciarono vive 126 operaie nel rogo della fabbrica di camice per signora della Triangle Shirtwaist Company di New York di proprietà di Max Blanck e Isaac Harris. Tradizione popolare, vuole questo rogo l’origine del Woman’s Day, la Giornata dedicata “alle rivendicazioni dell’emancipazione delle donne e per l’acquisizione dei loro diritti di lavoratrici in varie parti del mondo, dagli Usa alla Russia, all’incirca dal 1907 in poi”. Più precisamente” l’’8 marzo – ricorda la scrittrice – in realtà è una data convenzionale che ricorda vari eventi tutti collegati fra loro”. Tutti concentrati nei primi anni dello scorso secolo. Erano anni in cui non esistevano datori di lavoro, ricordiamolo, ma padroni. Anni in cui si poteva anche affermare che “Non è un problema se bruciano gli operai, in fondo sono solo un sacco di bestiame” (ct, pag 85). Nel libro, la lunga lista delle vittime del Triangle Waist è compilata con attenzione e precisione nelle sue ultime pagine. E’ una delle sue parti più dolorose: contare quante operaie avessero solo quattordici o quindici anni quando bruciarono vive perché nel loro edificio le poche uscite erano bloccate e le loro postazioni erano create in modo di non poter comunicare fra di loro. Quasi tutte loro erano italiane e russe. Alcune erano di seconda generazione, come oggi si usa indicare. Ma molte di loro avevano affrontato il lungo viaggio oceanico dall’Italia a Ellis Island da pochi anni, con il libretto rosso da emigranti. I nomi, le storie della fabbrica delle camicette bianche, sono stati tenacemente ricercati dall’autrice, che le ha accompagnate a noi nei loro giorni americani insieme a quello che ne fu dei loro figli, dei padri e delle madri, vittime “indirette della tragedia”. Ne riporto una, quella della madre di “Sonia Wisotsky, Esther, che dopo che la figlia diciassettenne morì, non dormì più per tutta la vita in un letto. Sistemava tre sedie allineate e lì passava l’intera notte. Era la punizione che si infliggeva per aver permesso alla figlia, sei mesi prima, di lasciare la Russia ed andare in America. Così racconta Esther Mosak, pronipote di Sonia” (ct, pag 69)
Il processo ai due titolari della fabbrica, accusati di omicidio colposo, durò appena ventitré giorni, “con centotre testimoni, la maggior parte della difesa ed in tanti ebbero il dubbio che alcuni fossero stati pagati per affermare il falso… Harris e Blanck furono assolti da una giuria di soli uomini, che arrivò al verdetto in sole due ore. Quando uscirono dal tribunale furono circondati da una folla che piangendo gridava: “Ridateci le nostre mogli, le nostre figlie, le nostre sorelle. Dov’è andata a finire la giustizia?” . Un unico coro di voci si alzò: “Omicidio! Omicidio! Omicidio! “. (ct. pag 72).
Il racconto del libro continua offrendo un panorama diverso, quello degli interventi legislativi che seguirono il rogo delle operaie.
“Comunque, quelle donne non morirono invano. Il 14 ottobre 1911 venne istituita la “Società Americana degli ingegneri per la Sicurezza. Nei quattro anni successivi si approvarono otto nuove leggi che furono inserite nel codice del lavoro, poi altre venticinque ed infine altre tre nel 1914. Inoltre, tale leggi stabilirono orari limitati di lavoro per donne e bambini”. (ct, pag 75). Il seguito della storia è fatto di conquiste e diritti, di donne che guidano cambiamenti legislativi, a cominciare da quelle all’interno del Trade Union League, i sindacati dei lavoratori, che pochi anni prima del rogo, nel 1903, aveva creato la costola di genere, il WTUL, il Woman’s Trade Union League, aprendosi così alle istanze delle lavoratrici.
Al suo vertice, Rose Schneiderman, classe 1882, nata in Polonia anche lei emigrata come la maggior parte delle operaie del Triangle W. “Sin da giovanissima, nel 1903, iniziò a lottare per migliorare la vita dei lavoratori e grazie a lei le donne poterono entrare a far parte dei sindacati” (ct, pag 76). Il discorso di Rose alla commemorazione delle vittime del rogo tenutosi il 2 aprile, esattamente una settimana dopo, prese la parola in un discorso di fuoco e lacrime, paragonando le fabbriche e i loro macchinari a moderni strumenti di tortura per poveri”. (http://trianglefire.ilr.cornell.edu/primary/testimonials/ootss_RoseSchneiderman.html)
E’ ricordata inoltre Frances Perkins (per un refuso la indicano come Francis? nda) , che divenne la prima Segretaria del Lavoro nella storia degli Usa, in quota Democratica, durante i difficili anni della Depressione. Durante il mandato, per sua volontà si rafforzarono i diritti dei lavoratori e lavoratrici, con le tutele contro gli incidenti sul lavoro, l’introduzione del salario minimo, l’indennità di disoccupazione e il divieto del lavoro infantile. Citiamo anche Anne Morgan, figlia di uno dei potenti typhoon dell’epoca, avvocata anch’essa come la Perkins, che non esitò a schierarsi a fianco delle rivendicazioni sindacali derivate dal rogo del Triangle W. L’ultima figura restituita dal libro è quella di Rose Rosenfeld Freedman, un’operaia sopravvissuta al rogo del 25 aprile, che per tutta la vita restò fedele al ricordo dell’accaduto, battendosi per la sicurezza sui luoghi di lavoro e sostenendo le lotte e le rivendicazioni sindacali delle lavoratrici. Come integrazione delle lotte femministe dell’epoca, laddove il libro si ferma, si potrebbe anche ricordare Jane Addams, che in termini di azioni politiche e sociali delle politiche di genere è una delle figure più rilevanti del femminismo americano, leader del movimento riformista americano, ed Elizabeth Gurley Flynn, la Giovanna d’Arco dell’Est, che in quegli anni era presente a New York nell’Industrial Workers of the World, il sindacato radicale americano, che organizzò buona parte degli scioperi del 1912 per la rivendicazione della giornata lavorativa di otto ore e che subì repressioni brutali finanche con l’impiccagione dei propri componenti. Lottò a lungo per la tutela legale dei sindacalisti e dei militanti perseguitati per le idee politiche. (R. Lupinacci).
Il libro Camicette Bianche, sarà presentato a Modena questo giovedì, nell’ambito della rassegna Lottomarzo, organizzato dai sindacati confederali e dall’Udi territoriale.
riferimenti fotografici in rete
Reblog di parte della lunga intervista ad Anna Lombardo sulla responsabilità della scrittura poetica . Da Via delle belle donne.
Navigare, anzi circumnavigare, intorno all’isola della parola. Approdare in baie di libri, ebook, blog di cultura letteraria, è uno dei piaceri intellettuali che restano costanti fra “sogni” e “brividi” nel proprio quotidiano. E visto che spesso è uso far dei bilanci di fine anno, nel computo di uno di questo lascio alcune quotes, le citazioni con immagini, create per la copertina della pagina Le parole come Libri. E’ una parte di eredità del 2016 che si trasferirà nel prossimo anno ormai alle porte. Tutta poesia. Non poteva essere diversa la scelta.
Con un esergo di Opis Mandel’štam si apre il corposo libro di Flavio Almerighi, Caleranno i Vandali, di Samuele Editore. Versi limpidi di scrittura e grigi di malinconia come possono essere stati i giorni della fine dell’impero dell’innocenza, quando sono calati i vandali a devastare le illusioni e le speranze. Il “giorno incinto che partorisce solitudini bastarde”, “il fruscio della solitudine”, l’Eredità di Caino portata via dal teatro per approdare sulle pagine di poesia del terzo Millennio, e le strade sono più vuote che piene, come i mesi, i luoghi, il lavoro. E’ questa l’eredità che bisogna cantare? In parte si. E’ la parte dove lo sguardo è anarchico e la scrittura lo segue, fra spazi stretti e strofe larghe e viceversa, escludendo rime e assonanze se non in rare comparse, perché la stesura del paesaggio umano non ritorna mai su se stesso con armonia. Questo specchio è diurno e compone “Storie per adulti”. E ogni poesia ha un titolo. Le parole pesano e la visone è laica, non c’è conversione all’indeterminato. Il poeta non permette la razzia della purezza, né della verità, né della storia. Non ci sono passaggi metaforici che confonderebbero la visione. “Dov’è il sogno americano?” “C’era più giustizia negli anni in cui Clint Estewood faceva Callaghan” “Le sette del mattino\il risveglio il gazzettino\il lavoro e beato chi ce l’ha” mentre “i morti sparano allarmati” perché da qualche parte si sta nascondendo l’ennesimo piccolo tiranno pronto a trasformare un fiume in una campagna napoleonica di morti ammazzati. (Note sui dieci per cento). Eppure esiste l’altra parte del fiume e si dovrebbe vivere tutti lì, dove il poeta approda continuamente, non cambiando il ritmo ma il suono. Ed eccolo l’altro sguardo. Quello che i versi non riescono a nascondere a lungo, e che s’incaglia e si scioglie e scrive d’amore . Certo, gli amori e gli affetti, nei tempi in cui sono calati i barbari, sono “bracieri tranquilli”. Ma sono straordinari lo stesso e che straordinario ritrattista che diventa Almerighi quando la strofa vira al caldo e l’autore “da del tu a tutte quelle che ama”, le sue “Barbare” sulla strada di Brest, le sue ragazze d’acciaio dietro le finestre accese di Dozza, le sue donne sposate così a lungo da essersene dimenticate. I vandali stanno calando, stanno diminuendo e questa discesa riempie a tratti il vuoto delle case o dei mesi. Arrivano donne con “il fuoco greco spiovuto\senza bisogno d’ombrello”, la cui “finestra è un inizio di bacio\di un cielo coperto\di una canzone dopo la musica” in cui perdersi e cercare “oltre lo smarrimento\e i cerchi nel bicchiere\qualcosa che dica di te”. Non c’è rovina nel ricordo di quegli affetti. La piena dei sentimenti è l’argine al fiume di guerra, in ogni suo dove ed è costata tanto attraversarla. La calata che Almerighi restituisce senza iperbole è l’incredibilità della vita nel suo quotidiano fra straordinari affetti e fatica di restare zitti “durante un duello di spade“
cinque poesie tratte da
Caleranno i vandali
di Flavio Almerighi
(c) Samuele Editore
RITRATTO DI OLGA SEDUTA
Vivere è rimanere svegli
senza spostarsi, tempo
ti sto leggendo con la biro
e non capisco cosa vuoi dire
all’ammontare della mia vita,
discuterne a oltranza
è perdersi a Bologna.
Olga è cittadelle inespugnate
misteriosamente supine su tela,
di là non si muovono,
una vita intanto è caduta dall’albero
mettendo radici tra le sue morenti
senza la carezza
con cui andava a dormire.
E’ che a settembre
molte foglie arrossiscono
si portano dove vogliono,
timbrano e se ne vanno
ma non le vedi partire.
LE COSE FUNZIONANO
le trasmissioni proseguiranno
fino alle sei del mattino
con il Notturno dall’talia.
Il vento non si abbasserà,
stanotte foglioline appuntite
secche scavalcheranno i nidi,
le donne dormiranno nude
ma non troppo,
lasciate senza amore,
passere sui rami che non si sa
dove vadano a dormire
dopo l’arroganza del giorno.
Il buio profumerà di viola
galleggiando fino al soffitto
dove i sogni scoprono
la propria vertigine
nessuna protezione
ai monchi a mani giunte
ai ragazzi liberi di nessun futuro
agli inventori scarichi
del genio italico.
Qualche portiere di notte
forse, uscirà vivo
signore e signori
vi auguriamo una buona notte.
FAMMI UNA CENA AFFABILE
Ho messo la camicia
è melagrana per macchiarla
di un pasto estraneo.
Fammi una cena affabile
questa sera, ti prego.
Lasciami una rosa
tra tovaglia e bottiglia
magari non parlarne più,
falla tornare dal passato
avrò oltre lo smarrimento
e i cerchi del bicchiere
qualcosa che dica di te.
Lasciala in caldo
anche se rientro solo
e il gatto pretende il rancio
da me. E mi fa cenno
perché vuole attenzione,
perché tutto è venuto da sé
non ti ho tenuta stretta
e sei fuggita lontano,
la sedia è ancora calda.
RILETTURA MORBIDA
le parole cose che non siamo
poesia l’atto di fede senza dei,
quando piove e fa freddo
qualsiasi maternità anche adottiva
andrebbe bene pur di sentirsi
protetti e coraggiosi, bambini all’amo
durante pomeriggi provati e vissuti,
specie nei parchi o sui campi
dove il calpestio non alza più erba,
ma terreno e pane duro per le galline,
il coraggio della fame
spinge i piccioni fino ai nostri piedi,
c’è chi ancora vuole parlare
dice cose che non capisco oggi
come tanti anni fa
TRA DUE PARENTESI
a mia figlia
La vita non se ne accorge,
un giorno gioca in cortile
il giorno dopo
lo stesso cortile non c’è più.
Persa così, stesso strappo
da tempo di guerra
combattuta in nome di niente
Dentro un luna park
pieno di folla era primavera
non l’ho vista più,
le parentesi sciatte
serrate per sempre.
SFARZOSI INDUMENTI DI PAROLE TESE
ADEENA KARASICK
Accedere alla parola di Adeena Karasick è un’esperienza quasi percussiva. La scrittura della poeta canadese vive in un’aggiunzione continua di ossimori e metafore innestate nel linguaggio di una cultura sospesa fra la massificazione culturale del quotidiano e le evocazioni di grandi passati sacri e pagani. Un lavoro poetico che sul foglio implode all’interno del sistema simbolico ed evocativo della parole e del soggetto. Che lo destruttura e lo richiama in echi di vortici e di personaggi e sfondi, dove la voce è possente ed è unica guida nel caos di (questo) mondo che ingloba, graffia, disorienta, scorpora ed infine inghiotte ogni cosa, ogni sensazione, ogni sentimento tra l’inverosimile e il reale.
E’ una tecnica di surplus della parola e del personaggio che da identità ai suoi componimenti. Spoken word e inchiostro: la voce è dappertutto energia, fra le pagine scritte, nelle rivisitazioni di immagini e di frame, perfino nei micro video dei cellulari: bisogna restare sintonizzati nel mondo e decifrarlo e ricomporlo, usandone tutti i frammenti, in un gioco continuo di rimandi di lingue sciolte da frontiere e linguaggi metrici, i cui attori vengono presi dalla comunicazione mass mediale come dalle alte pagine della cultura storica fra Mediterraneo ed Occidente. Il soggetto è icona e viene usata come indagine; un’architettura interpretativa di extratesto e di gioco lessico (“ABBA is rethinking their scansion” e il gruppo musicale pop svedese è passato alla più classica delle formule stilnoviane) . Icone sono Salomé e Calypso che invitano e imbrigliano con una “lingua stuzzicata da sfrontati pasti\territorio di appannato slang catapultato\nell’errore scritto\ compare ”. Icone sono Iehôhānān, Ioannes Baptista, Johnny Angel, Johnny be Good , sempre lo stesso uomo in cui “immergersi, e può essere peccato” o il distratto Ulisse che sta ascoltando la canzone delle Sirene su Spotify. L’imperativo è spesso il modo preferito. La poeta lo usa come verbo diretto dei pensieri e delle azioni (e per certa filosofia i pensieri sono azioni ), chiasmi e paronomasie, eros e isteria, sacro e ironia, e su tutti loro la voce è femmina e ammaliante e non ferma mai il proprio canto. Un’altra via dell’ispirazione è l’indagine sui testi del sacro ebraico. La poesia può confrontarsi con il mistero del sacro e darne un nuovo segno di riconoscimento . La Bibbia, la Kabbalah, per la Karasick sono distanze da slegare, fra labirinti incantati e fari che attraversano le passioni, le grandezze e le cadute dei propri quotidiani, così simili al mito, così difficili da decifrarsi, così necessariamente destrutturabili con il suo linguaggio per tracce e flussi. Ne “La Danza dei sette” il numero sette da immediato riconoscimento di sacralità con l’elenco dei suoi significanti mistici, eppure è nella danza di Salomè che esso viene chiamato a mostrarsi in un’esposizione carica di equivalenze del reale . I “Trentatre nomi di Dio “della Yourcenar erano nella superficie della crosta terrestre, erano essoterici ,”La danza del sette” è esoterica, nascosta nelle cose. Non ci sono vie facili e la parola non offre consolazione ma investe con i sensi e la mente. “Vieni e mitizzami\Mio libro\Esagerata baraonda”. Non c’è via di consolazione ma un legame magnetico ed erotico, un tumulto “emporio” che fa di ogni poesia polifonia e azzardo.
SALOME’ DONNA VALOROSA
Il lavoro di “Salomè Donna valorosa” è stato presentato al Tribeca Festiva di New York ed è ora in itinere. Non è la prima volta che la tradizione biblica viene attraversata dalla poesia femminile. Si ricordi ad esempio che Else Lasker-Schüler, nelle sue “Ballate ebraiche” del 1913, dedica uno dei suoi più alti componimenti alla moabita Ruth (“C’è un angelo alla fonte\della mia patria: canta\il canto del mio amore\la canzone di Ruth”) .Ritornando al personaggio di Salomè, esso ha avuto una buona fortuna critica a partire però solo da metà Ottocento. Vale la pena ricordare che la figura di Salomè è una voce minore nel racconto evangelico, appena abbozzata nei racconti di Matteo e Marco, dove non ne viene nemmeno svelato il suo nome. Di lei si apprende che è la giovane figlia di Erodiade, quest’ultima bersaglio delle invettive del profeta Giovanni Battista per la sua condotta licenziosa e il suo matrimonio quasi incestuoso con Erode Antipa, figlio del suo primo marito. La giovane Salomè danza davanti ad Erode e questo vuole compensarne la bravura. La ragazza chiede allora consiglio alla madre che senza esitare si fa consegnare la testa di colui che sta buttando parole di fuoco su di lei presso il popolo. Da sottolineare che nel testo sacro non c’è nemmeno traccia del tipo di danza che eseguiva la giovinetta. Ma: “Attraverso i secoli, la figura di questa danzatrice adolescente, uno strumento innocente nelle mani di sua madre Erodias, subisce una graduale trasformazione verso una figura di innocenza perduta che si estende fino all’essere la responsabile della morte del Battista. Inoltre, il più disturbante aspetto della storia dal Vangelo alle sue successive versioni, è il potere seduttivo della danza. Forse è una delle arti più antiche, espressione di armonia e vitalità fra l’Uomo e il Cosmo nell’antichità pagana, espressione di peccato in quella cristiana”(AA.VV Depicting Desire. Gender, Sexuality and the Family in Nineteenth Century Europe, 2005).
Salomé arriva fino al Medio Evo, quando nella popolare celebrazione della festa di san Giovanni Battista, si arricchisce la storia biblica con nuovi elementi, così da esaltare la figura del profeta inventando terribili punizioni per la peccatrice. Fino al ‘Seicento, nelle arti visive, la figura di Salomè è associata alla testa del Battista decapitato. Le decollazioni sono molto frequenti nell’iconografia italiana dove, oltre Salomè e Giovanni, non si contano le Giuditte che mostrano la testa del loro Oloferne. C’è chi ha visto un simbolo di castrazione nella decollazione di questo o quel personaggio, lo teniamo in mente per una possibile interpretazione psicanalitica. Andando oltre, si arriva al 1841. In un poemetto satirico in quartine, lo scrittore tedesco Heinrich Heine,” Atta Troll”,fa riapparire Salomè indicandola come incarnazione pre-decadente di famme fatale. “Una trasformazione notevole: non è più l’evangelica fanciulla docile vittima dell’intraprendente Erodiade ma addirittura una Salomè, nel nome e nella sostanza, e vi si introduce anche la passione d’amore fra la danzatrice e il Battista, forse per l’esigenza di fondere la qualità delle due figure femminili”(Nicoletta Campanella, Salomè. Quel che resta di una principessa, 2001).
Dalla fortuna di questo testo comincia la trasformazione simbolica della Salomè contemporanea. Vari letterati e artisti visivi mettono mano al mito e aggiungono nuovi elementi. Gustave Flubert (Herodias, 1877) “Introduce la mitica Salomè decadente, emblema di bellezza femminile dannata, lasciva e terrificante ancella di Eros e Thanatos. Gustave Moreau produce una serie pittorica pervasa da un orientalismo denso fino all’eccesso di decorativismo simbolico. Oscar Wilde nel 1893 la trasforma in un’icona scandalo, la Virago, l’aspetto oscuro e sanguinoso che per tradizione (questa nuova) Salomè ispira, la Ninfa, la Virago” (Eleonora Bairati, Salomé immagini di un mito). Da Wilde in poi Salomè è ormai scandalo nello scandalo, peccato e lussuria, eccetera eccetera. Meno citata in letteratura nell’età post-moderna, è invece più presente nelle rappresentazioni teatrali, con testi che però non si discostano molto dalle presentazioni del passato.
La Salomè di Karasick non è una giovane oscura, è una donna valorosa. E’ raffinata, ha vissuto molta vita e non vuole lasciare condurre il gioco, o meglio la danza, a nessun altro che non sia lei. Come\Come with me\come crowded\Come holy\ (Vieni\Vieni con me\Vieni a folla\ Vieni santo) Le anafore che aprono la lunga canzone di Salomè pulsano di vita, sono intessute di eros e continueranno il loro cammino nella vertiginosa scrittura della poeta canadese, che trasforma la storia in una visione femminista “una prospettiva ebraica e tradotta della sua storia non solo come un racconto di violenza e desidero ma come un capro espiatorio e le nostre preoccupazioni contemporanee sull’erotismo e sulle trasgressioni estetiche, che occupano uno spazio fra l’estraneità e il desiderio” (Adeena Karasick). Quando Salomé incontra il suo Iokhanan gli chiede di non abbassare lo sguardo “Guardami, ti ho baciato la bocca, oh Iokhanan, ho baciato il tuo mito. E sulle tue labbra, il sapore dell’audacia, il sapore dell’amore, l’amore dicono, come merletto disseminato. Ho baciato il tuo mito”. Mai una sola parola silenziosa, mai un passo indietro. “Encore. Encore, Encore. Encore. Encore. D’accord”.
Simonetta Sambiase
*Adeena Karasick è attualmente in Emilia Romagna per un tour di conferenze e poesie. Traducono le sue poesie per le letture Pina Piccolo e Serena Piccoli.
La poeta sarà ospite mercoledì 29 giugno dall‘associazione Exosphere e dal circolo Arci Medardo Rosso di Montecavolo, in collaborazione con il blog culturale de La macchina sognante.
ADEENA KARASICK
Adeena Karasick è poeta, teorica culturale e autrice di 7 libri di poesia e teoria poetica che
hanno ottenuto grandi elogi da parte della critica . Nata in Canada da una famiglia di emigrati
russi ebrei e residente a New York, è’ attualmente Professore di Teoria della Comunicazione e
dei Media alla Fordham University. La sua scrittura è stata definita “elettricità nella lingua”
capace di eseguire ”una fertilizzazione trasversale tra motti di spirito e conoscenza, teatro e
teoria”. La sua poetica è contraddistinta da un’estetica urbana, ebrea e femminista che sfida
costantemente le modalità normativa di significazione e confonde i confini tra cultura
popolare e discorso accademico. Karasick ha tenuto conferenze e performance in tutto il
mondo, partecipando a numerosissimi festival, simposi, e colloqui telepoetici. Pubblica
regolarmente articoli, recensioni, e dialoghi su poesia contemporanea, e teoria
poetica/culturale e semiotica. Ha prodotto videopoesie e registrazioni delle sue opere che
mettono in luce la radicalità della sua performance.
Vincitrice della MPS Mobile Aaward è conosciuta come “la poeta del cellulare” perché il suo
lavoro è disponibile su dispositivi mobili quali cellulari e smart-phones.
(traduzione di Pina Piccolo)