Credo alle molestie di alcuni alpini a 500 donne durante la loro adunata di Rimini.
Ci credo perché:
1) Perché credo al coraggio di ogni donna che ha il coraggio di denunciare di aver subito molestie in un Paese qualunquista che spesso giustifica i carnefici e non ha empatia con le vittime.
2) Perché avevo già letto questo articolo del 2018:
che riporta le stesse dinamiche “goliardiche” e gli stessi impegni – disattesi – di farle smettere da parte delle organizzazioni di queste adunate di alpini di montagna e di mare.
3) Perché conosco il rigore e il fervore delle compagne di NUDM sulla presa in carico di azioni di contrasto alla violenza contro le donne e non posso che ringraziarle di aver alzato la voce anche contro chi mentre lavori potrebbe pensare che infilarti una mano nella gonna sia solo un atto di goliardia:
Rimini, molestie degli Alpini: “Non una di meno” prepara azione legale
4) Perché queste voci su alcuni alpini “goliardici” le avevo già raccolte come sfogo amaro quando facevo sindacato e vorrei dare solidarietà, come donna, anche a chi non ha avuto ancora il coraggio di denunciarle.
Ecco perchè ci credo. Di più.
Delle riflessioni su queste “goliardie”, che provocano il vomito a chi le subisce, le avevo trasformate in versi in una poesia pubblicata in “Borea”. Perché “ci credevo”. E perché le voci di ribellione al potere distorto del maschilismo non debbono mai tacere. Che si tratti di qualche alpino “goliardico” o di qualche altro militare “scanzonato e allegro” o di un avvocato, di un autista, di un infermiere o di un direttore d’orchestra innamorato dei Carmina Burana, insomma di un mascalzone qualsiasi, le mani devono essere tenute lontano dalle lavoratrici, dalle donne, dalle ragazze, da chi non vuole essere “goliardiata”.