Be a Lady They said – Poesie, lotte, esili e migrazioni per l’otto marzo.

 

 

 

 

Dedico i testi selezionati
alle infaticabili compagne di utopia e lotta di Nonunadimeno, che nella purezza della loro visione del meglio, continueranno a lottare per un ottomarzo perenne.
#NUDMReggioEmilia

Dedico i testi selezionati
a Silvia Romano, che non è mai scomparsa dai nostri cuori.

#SilviaRomanolibera

 

 

 

8 marzo 2020. Tempo di isolamento, di quarantena; vince il coronavirus su ogni aggregazione sociale, nell’innegabilità della paura, del contagio. Giorno di solitudine, paura, esilio dalle proprie abitudini di collettività, almeno nella mia regione che trattiene il fiato da settimane. Tempo e giorni.  L’andare del tempo, il fare dei (e nei giorni) continua, comunque l’isteria;  il tempo segna ancora la vita, e nessun virus può fermare il tempo e i suoi simboli,  non siamo nei giorni della peste ma in quelli delle missioni su Marte; e quando il calendario indicherà che si è arrivati all’otto marzo, quella data sarà ancora la giornata internazionale della donna, e ancora ne racconteremo.
Qui, al Golem femmina, raccoglieremo le voci delle poete a cui l’esistenza ha costretto a reinventarsi, a ridefinirsi, a trovare nuovi posti in cui poter vivere o difendere il proprio posto nella vita, la propria individualità. Essere in esilio, essere migrata; essere figlia di due mondi diversi che per amore sono collisi; essere sconosciuta agli altri, a volte sconosciuta al proprio specchio. E raccontarlo in versi, in strofe e stanze di libri e di raccolte per darne voce alta.
Un tentativo di tenere in piedi tutti i pezzi, di provare ad immaginarlo il meglio del vivere, la sorellanza o l’euritmia dei generi. “Indossare l’abito con le altre. Senza di loro, vecchie e adolescenti,\storpie e bellissime, bianche e nere,\io non esisto. Sono donna finché loro esistono” di cui scrive Cristina Ubah Ali Farah. Ce ne saranno altri di testi e di racconti da segnare e leggere. Ce ne saranno altri di otto marzo, le emergenze fanno parte della vita, la paura è un’emozione, ne seguiranno altre di altri colori e fortune, il tempo alla fine è sempre uguale sul calendario, l’esistenza è quella che cambia, quella che può cambiare in meglio. Senza arrendersi, continuando a segnare in rosa le date. E le scelte.

***

Strappo

Nel gruppo di donne
Sono di madre europea
questo mi distingue

Un’adolescente snodata
Sulla sabbia, in mezzo alle coetanee
cado giù in spaccata
Attenta che ti strappi
Goccerai sangue
Ceeb

Non troverò marito
Non sono pura, chiusa, bella
Quelle piccole labbra pendenti
sono brutte
Caado

Idil così orgogliosa
al centro di tutti
Le gambe immobili
un fiore sul pube
un abito largo

Sarò mai presa anch’io dai venti?
Aliti insani che risalendo le viscere
Mi penetreranno i pensieri?
Insetti prenderanno la mia mente?
Un segno sul corpo
mi scompenserà?

Ci laviamo con le altre donne
I miei figli sono i loro figli
Voglio tenere insieme tutti i pezzi
Indossare l’abito con le altre
Senza di loro, vecchie e adolescenti,
storpie e bellissime, bianche e nere,
io non esisto
Sono donna finché loro esistono

Ceeb: vergogna
Caado: in somalo questo termine ha
significati differenti. Indica infatti una consuetudine,
una tradizione ma anche un carattere o comportamento
e infine la mestruazione, il sangue mestruale.

CRISTINA ALI FARAH

***

Notte 2

Sotto le ossa,
sotto la pelle,
identificazioni fasulle.
Sotto l’idea,
il mio concetto
delirante
e ossessivo.
Muta tutto;
non può continuare.
Le lucciole muoiono,
il ciclo terribile
torna al punto.
Il concetto si sgretola
e chiude gli occhi.
Capelli in bianco e nero,
unghie gialle mi graffiano
le caviglie dolenti.
L’eccesso si disintegra
nella mia distruzione,
nella mia ricerca del piacere.
Dannata sia sempre
questa corsa all’innocenza,
perduta.

ELVIRA MUJCIC
***

Appartengo ai ricordi 

Sulle righe stanche di questo foglio
la mia esistenza
nata da un utero in fiamme,
si frantuma in insolite
rime di non senso.
Il cielo è fuso,
i papaveri piangono,
il sangue non basta,
le idee cambiano,
ll diavolo è facondo,
il giorno è una catena,
le retoriche intrecciano la vita,
oh, la crudeltà,
oh, la rabbia.
Non serve altro alla morte
per dissociare
il legame folle
tra le labbra e il bacio.
Il canto del male
ha tradito la vita!
Il desiderio di
vomitare i bisogni,
e urlare la terra
come l’unico senso
del libro,
vanifica il movimento
verso l’infinità dell’essere umano.
Come ho potuto dimenticare
la mia appartenenza
ai ricordi
la traccia afflitta del padre
nell’ immagine opaca dei miei cinquantanni
la voce senza voce della madre
sulle mie labbra, ninna nanna della vita,
l’anello della nonna, che nel sogno mi aveva dato,
la steppa di sempre, il mare è lo stesso, terra di reversione,…
Oh, lascia che sfiori l’abisso!
Lascia che ti baci!

NINA SADEGNI

***

Ciao mamma, un saluto da Bolzano

Ciao mamma, un saluto da Bolzano.
Sento il bisogno di dirti che mi manchi.
Avrei potuto essere anch’io di Kobani, essere chiamata Narin.
E se mi trovassi sotto un mucchio
di sassi, oppure violentata in una casa abbandonata,
desiderosa di avere addosso
un grembo di fiore tra le crepe?
Se fossi Narin, e se fossi viva, avrei potuto scriverti
per spiegarti dove mi trovo.
È facile se segui le tracce di altri spettri,
ti accorgi del muro con sopra il mio nome all’inchiostro rosso.
Il muro con le tre finestre, sul lato est di Kobani.
Ti avrei indicato
la porta verde bucata dal cecchino. Se fossi Narin.
Altrimenti, mi troveresti un po’ dappertutto. La testa appoggiata
sul tronco di un albero.
La mano, quella con quale ti scrivo, sopra il fucile.
L’occhio destro che guarda le malve,
l’altro che segue il merlo sopra il tetto.
Ti amo più di quanto pensassi.
Hai letto della morte del ragazzo Azad,
che cantò l’ultimo canzone per la sua madre?

Tutto sommato, io sto bene. Ogni mattina bevo un macchiato
e leggo i giornali. Da lì osservo a malapena il mondo
come sanguina, e le ali dei corvi che spediscono
i messaggi dei combattenti come polline per il futuro.

MINGA GENTIANA
***

Amica sorella compagna nemica

Amica sorella compagna nemica
per un tuo cenno il mio dolore
poteva ancora trasmutare e dissolvere
in cima a un albero di gelso
sulla slitta di due assi inchiodate
dal ragazzo che dietro la stalla
ci accarezzava tra le gambe con morbide piume.
Sulle ali del tuo sorriso
sarei volata a raccogliere
le stelle gialle scosse sui carri
cigolanti girasoli al vento
nei campi dove noi lavoravamo come
braccianti e giocavamo con bambole
di granoturco rubato.
Una tua parola avrebbe annullato
l’ingiuria dei gendarmi fieri
dell’uniforme intessuta d’odio
contagioso e diffuso
da insegnanti preti signori
proprietari incontrastati di coscienze ;
un tuo gesto (non quel segno della croce per saluto)
mi avrebbe distolto
l’attenzione dall’assenso
espresso anche dai bimbi
spinti ad applaudire le piume
colorate che svolazzavano festose
trottando sui cavalli aggrediti
dai cani degli ebrei cani ebrei !
Amica sorella compagna nemica
il tuo silenzio è riflesso
negli occhi d’Eva che non saliva sul gelso
per non sporcarsi l’abito
e mangiava pane e cioccolato a merenda,
la ricordi la signorina ?
Non ha più paura
che la madre la scopra in mia compagnia
è nuda calva leggera
io la trascino in cima a una piramide
di scheletri per sistemarla vicino a Dio
(in cui credeva) ricercato per i delitti
commessi sotto i suoi occhi.

EDITH BRUCK

***
“Il sole ha emigrato”:

In quali terre ha emigrato il sole?
Io vedo solo che non si trova qua,
ha lasciato un cielo spento e cupo
negli occhi pensierosi, nell’anima.
Altri universi sta riscaldando, ora.
Chissà se ritornerà nel mio paese?
C’è nebbia, politica e troppo caos,
non ci sono sogni, sorrisi e attese.
Le rughe raccontano storie di gente
che cercano di fuggire per sempre,
i palazzi non ti lasciano respirare,
il lusso e la fame abitano insieme.
Il sole ha emigrato in altre terre.

IRMA KURTI

 

#SilviaRomanoLibera