L’anno è appena cominciato. Con quasi mille articoli di indicazioni e norme per definire un triennio di visione del percorso economico del Paese, è stato licenziato il Bilancio di previsione economica dello Stato. Dentro il lungo documento legislativo, con la lente d’ingrandimento fra gli articoli, si vanno a cercare e trovare negli obiettivi, le misure a favore del genere. E, ancor più d’inciso, vista la natura della legge, le risorse stanziate a favore di quelle misure. Le indicazioni ci sono? Si, ci sono. I soldi anche. Ma non moltissimi. Mentre per fortificare il cambiamento delle opportunità socio-economiche delle donne e dei giovani le risorse da mettere nel portafogli del Paese dovrebbero invece traboccare. Per invertire, finalmente, quella (tacita?) tendenza al proclama e alla misura d’emergenza che ha il fiato corto del fuoco di paglia, che riscalda poco e non protegge dall’inverno; quella tendenza alla “folk politics” insomma, che negli ultimi tempi ha regnato in lungo e largo nella nazione. Poiché l’esigenza di valutare e richiedere misure economiche costanti, strutturali e mirate ad obiettivi di lungo termine e respiro per le pari opportunità non è una visione d’antan, ma la coniugazione di improcastinabili futuri sostenibili e universalisti, così come impone l’ obiettivo numero cinque dell’Agenda 2030, che rimarca le linee guida di una diversa ed etica organizzazione delle società. Nel cuore dell’obiettivo dell’Onu c’è il dovere per gli stati di mettere in moto tutte le misure per “garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici, promuoverà economie sostenibili, di cui potranno beneficiare le società e l’umanità intera “. L’umanità intera di un proclama ecumenico. Utopico. Decennale. Basterà?
L’azione si sposta agli atti operativi per la realizzazione di questa società pacificata nel nostro Paese. Nella lettura di quali e quanti articoli di questo documento di bilancio nazionale siano dedicati alle pari dignità.
Quali visioni, quali opportunità, quali strumenti economici, etc.
Saltano agli occhi, ad esempio, in termini di incisività, i fondi stanziati per incrementare le università a “provvedere ad inserire nella propria offerta formativa corsi di studi di genere o a potenziare i corsi di studi di genere già esistenti” (art. 354) incrementandoli con un milione di euro per tutto il territorio nazionale.
Ci si chiede se la libertà concettuale del provvedimento sia dovuto nel rispetto dell’autonomia universitaria o da un mancato confronto con il magmatico fluire dei valori del gender? Che sia essa stessa valore quella relatività del fondo destinato ad incrementare i corsi di studi di genere negli atenei, talmente vaga e generica da lasciare spazio ad ogni tipo di interpretazione arbitraria nella problematica tematica e metodologica dei progetti di ricerca che accederanno ai fondi. In quali campi le “educazioni alle differenze di genere” dovranno essere rilevate (o coltivate o inventate) per portare il Paese fuori da quelle posizioni da fanalino di coda nelle statistiche internazionali sul rispetto del Gender Pay, ad esempio?
Quale scelte metodologiche devono essere operate (se non parzialmente ricostruite) all’interno della diffusione della cultura generale, ed ancora nella cultura femminista della letteratura ed ancor più in generale sulla scrittura femminile? Come si intendono tradurre gli “studi di genere”? Come si intende costruire un percorso qualitativo di ricerche di genere negli studi universitari? Quali saranno le visioni, le storicizzazioni, le misurazioni e quali le piattaforme di strumenti culturali da mettere in ogni campo della conoscenza che un ateneo deve progettare ed operare? E’ questa un’operazione economica di respiro “orizzontale”? A pochi articoli di seguito, si legge che si destina una cifra quasi analoga a quella stanziata per gli atenei al Ministero della salute per promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione per gli animali di affezione (Art. 453). Affezioniamoci al genere e ai cani, qualcosa di buono ne verrà fuori, siamo un paese buonista.
In agricoltura, settore d’eccellenza, hanno le idee più chiare. All’art. 504, al fine di favorire lo sviluppo dell’imprenditoria femminile in questo campo, sono definiti i criteri e le modalità per la concessione di mutui a tasso zero in favore di iniziative finalizzate allo sviluppo o al consolidamento di aziende agricole condotte da imprenditrici attraverso investimenti nel settore agricolo e in quello della trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli.
Continuando la lettura della legge di Bilancio in ottica di genere, si trova nell’articolo 181, un esonero del versamento del cento per cento dei contributi previdenziali ed assistenziali, con l’esclusione di quelli infortunistici, entro un limite massimo di 8000 euro all’anno per le società sportive che “stipulano con atlete contratti di lavoro sportive”. Un sospiro di sollievo almeno fino al 2022 per tutte le professioniste dello sport che da anni portano in alto i nostri medaglieri alle competizioni internazionali. Almeno per questo triennio. Che potrà vederle (nei limiti massimi di 8000 euro all’anno di sgravi) comparate remunerativamente ai loro colleghi uomini. Spostando la competizione dai campi della previdenza sociale a quella delle attività agonistiche, come dovrebbe essere già fatto fin dal licenziamento della nostra Costituzione.
Rifinanziato all’art. 353, il “piano straordinario contro la violenza sessuale”, incrementato di 4 milioni di euro (fondo da ripartire su tutto il territorio nazionale) per gli anni 2020\2022. Poco più giù, agli articoli che vanno dal numero 486 al numero 489, viene messo nero su bianco la “non responsabilità economica” dei figli e delle figlie rese orfani da femminicidi. Si stabilisce infatti che: “Per il triennio 2020-2022, i crediti vantati dallo Stato nei confronti degli autori di un delitto di omicidio, sorti in conseguenza della commissione del reato medesimo, commesso contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l’altra parte dell’unione civile o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole ovvero ad esso legata da relazione affettiva non sono imputabili ai beni ereditari trasmessi ai figli minori, ovvero maggiorenni non economicamente autosufficienti, nati dalle predette relazioni, purché estranei alla condotta delittuosa”. Si chiude così un paradosso nazionale che vedeva i figli resi orfani della propria madre da un padre omicida, costretti a pagare per lui. Un percorso ad alto spargimento di ostacoli, quello dei femminicidi, in cui i traguardi sembrano irraggiungibili, va scritto per dovere, non solo nel nostro Paese, a riprova che la misoginia è una disgrazia che ha occupato tutta la terra emersa. Che gli articoli di questa legge possano essere un efficace antidoto a questa malattia, lo si peserà più avanti nel suo cammino. L’anno è appena cominciato.
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