MIO PADRE GIARDINIERE
di Valentino Zeichen
La sua camera da letto evocava
un microemporio o stiva di nave
da carico alla rinfusa;
troneggiava una scrivania
con le zampe di satiro,
piena di buste di semi.
Invece dei libri, sulle mensole
spiccava un campionario di merci
d’origine coloniale:
cacao delle Indie olandesi,
tè inglesi, cioccolato belga,
stecche di sigarette Camel e
sapone di Marsiglia, rancido?
Dentro ai marchi olimpionici
rivali duellavano al fioretto
per conto delle lame da barbra
che si contendevano il primato
della rasatura perfetta.
Lucidi da scarpe marca Kiwi
rotolavano sul pavimento,
i topi svitavano i tappi
ai tubi dei dentrifrici
scambiandoli per latte condensato;
c’era anche latte di balia in polvere,
e marlin della Tasmania in scatola.
Del corned beef statunitense
mio padre elogiava il brevetto
della chiavetta attaccata che
infilata nella linguetta ripiegata
girava e spellava un nastro di latta
intorno alla scatola, spezzandola in due.
Ricordo tagli di stoffa d’anteguerra
per futuri vestiti tarlati,
scarpe di cuoio bicolori, in forma,
unte prima e dopo la guerra con la sugna,
e firmate dai graffiti dei topo.
C’erano libri di giardinaggio
in tedesco gotico con tante
tavole illustrate di piante
che sotto le veline
parevano semivive.
Risfoglio le guide turistiche
del Touring Club Italiano
e i volumi de Le vie d’Italia
All’appello letterario
rispondevano due soli romanzi:
La marcia di Radetzky e
I ragazi delal via Paal.
Ero a pranzo, e lui aveva la mia
stessa età di adesso. Gli chiesi
“Come mai non mangi?”. E Lui:
“A quale scopo? Per dovermi
rivedere ancora?

PER LA MORTE DI PAPA’, ERAVAMO PREPARATI
di Lucien Noullez
Per la morte di papà, eravamo preparati
avevamo fermato la memoria e spogliato tutti i giorni
in cui papà taceva.
Eravamo pronti, nella cascata.
e d’altronde pioveva.
E papà
è morto.
Eravamo pronti,
eravamo senza riparo,
talmente pronti, papà, talmente a nudo
che la tua morte ci ha riportati
a quel piccolo nulla
che ci faceva balbettare papà,
papà, papà.

PADRE
di Carlos Penelas
Padre, alza la testa e guarda i cipressi.
Cammina con le tue onorate ossa contadine
verso la luce della nostalgia.
Ti aspettano ancora battaglia e sconfitta.
Tutte le notti vieni con la tua voce
a visitare le stanze di casa,
a dirmi parole che non comprendo.
Padre, salutami col tuo cappello alzato.
Stanotte tuo figlio ha sognato che sei morto
(“Cánticos paternales”, 2015)
Traduzione di Giuliana Manfredi

PADRE
di Ilaria Seclì
Padre che vegli questo corpo
in cristalli di viete vicinanze
e con me avanzi a farne canto
e preghiera se quieto è il tempo
quando diciamo ricco il niente
e lo spazio vuoto tra pelle e pelle
lo chiamiamo aria e vento
e non feriscono i barbari
sapendo che li muove la voglia
della patria che non hanno.
Padre che vegli questo corpo
sapermi orfana non ti dà pace
ma ti prego di curarla, vederla
questa cosa inconsolabile
mostrami cosa diventa lo spazio
di tanta lontananza.

da FEMMINIMONDO
di Alessandra Carnaroli
sabato
ventinove maggio
padre
mi spegnavi le candele nel sedere
così contavo quanto ci badavo
a diventare grande
a farmi crescere le ghiandoline a farci venire il latte
ti chiamavo mostro ma solo di notte
quando mi sentivano i muri attaccati con la muffa
e il cruciverba che mi mancava sempre una parola
tu mi dicevi vieni qui che te la dico in un orecchio
e ci lasciavi la lingua
i denti
lo stomaco sporco che mi passava da dentro
lasciava le macchie come le ciliegie sui panni
tirava giù i piatti i reni mi veniva il prolasso
dell’osso
–
EL LETO GRANDO
di Bepi Sartori
Bupà
Fame vègnar con ti nel leto grando!”
E l’era la Dominica matina.
L’era el più bel momento de la vita.
“Bupà
Fame végnar con ti …”
Se sero i oci, sento ancora adesso
El caldin de quel leto
‘ndo me sentea sicuro,
e le to mane grnade le me corzeva tuto.
Desso ò ciapà el to posto: el me butin
Che ti no t’è mai visto
El se ransigna soto le me coerte
A sercar na caressa
Ne le me mane grande come el mondo.
L’è sempre a la Dominica matina
E l’è el più bel momento de la vita.
Per quanto ancora? Orai su so brasseti
Taca a spuntar le ale:
l’è za pronto a volar.
Par mi
La strada le séita a rampegnar,
un tornante drio l’altro,
sensa tirar el fià, sensa voltarse.
E taco a pantesar, taca la pressia
e la paura de rivar in sima.
Ma quando, fato l’ultimo scalin,
me fermarò sul pato de la scala,
col me ultimo fià te sigarò:
“E’ rivà la Domincia matina,
el momento più belo de la vita:
Bupà
Fame vègnar con ti nel leto grando!”